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Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/43

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TARAS BUL'BA

rideva proprio di gusto, e il riso dava piú vivo risalto alla sua bellezza abbagliante. Egli rimase sconcertato. La guardava come fuori di sé, mentre distrattamente cercava di pulirsi il viso dal fango e se ne imbrattava sempre peggio. Chi poteva essere quella bellezza? Egli avrebbe voluto saperlo dalla servitú, che numerosa, in ricche livree, era presso il portone raccolta in cerchio attorno a un giovine suonatore di pandora. Se non che, la servitú scoppiò a ridere vedendo il suo muso imbrattato di fango, e non lo degnò di una risposta. Ma finalmente egli venne a sapere che quella ragazza era la figlia del Vojevoda di Kovno, venuto a Kiev per qualche tempo. Senz’altro, nella notte seguente, con l’audacia particolare dei soli collegiali, strisciando attraverso la siepe, egli penetrò nel giardino, s’arrampicò su per un albero che si stendeva coi rami fin sopra il tetto della casa, dall’albero si calò sul tetto e di lí attraverso il fumaiuolo della stufa, penetrò dritto dritto nella camera della bella, che in quel momento era seduta vicino al lume e si toglieva dagli orecchi i suoi preziosi orecchini. La bella polacca fu talmente spaventata nel vedersi davanti all’improvviso un uomo sconosciuto, che non poté proferire neppure una parola; ma quando osservò che il collegiale stava lí ritto, con gli


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