Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/115

Da Wikisource.

capitolo xl 113


essi la sorgente della buona commedia: da questi appunto incominciò la sua professione il gran Molière; e felicemente giunse a quel grado di perfezione, dagli antichi solamente indicatoci, e non eguagliato ancor dai moderni. Faceva io male a incoraggirmi così? No; poichè all’arte comica tendeva la mia inclinazione, e la buona commedia doveva essere il mio scopo. Mi sarei fatto torto, se avessi avuto l’ambizione di stare a confronto coi maestri dell’arte; ma io ad altro non aspirava che a riformare gli abusi del teatro del mio paese, non essendo poi necessaria una somma scienza a ciò conseguire. In conseguenza di tali ragionamenti che a me parevano giusti, cercai nella compagnia l’attore più a proposito per sostenere un carattere nuovo e nell’istesso tempo piacevole. Mi determinai per il Pantalone Golinetti, non per adoprarlo con una maschera, che, nascondendo la faccia, impedisce all’attore sensibile di manifestar sul volto la passione che lo anima; facevo solo gran caso della sua maniera di stare nelle conversazioni, ove lo avevo veduto e studiato; onde credetti di poter farne un personaggio eccellente, nè m’ingannai. — Misi adunque in ordine una commedia di carattere, il cui titolo era Momolo cortesan. Momolo, in lingua veneziana, è il diminutivo di Girolamo, ma non è possibile tradur bene con un altro adiettivo francese quello di cortesan. Questo termine non nasce da una corruzione della parola cortigiano; deriva bensì piuttosto dalle voci courtoisie, e coutois, cortesia, cortese. Gli Italiani medesimi non avean cognizione, generalmente parlando, del cortesano veneto, onde sino da quando feci stampare questa composizione, la intitolai L’Uomo di mondo, e dovendo metterla in francese, il suo conveniente titolo credo sarebbe quello di Homme accompli. Vediamo, se sono in errore. Il vero Cortesan veneto è un uomo di probità, capace di render servigli, e cortese. È generoso senza profusione, allegro senza esser leggiero, amatore delle donne senza compromettere il suo decoro, amator di piaceri senza rovinarsi; in tutto si mescola per il solo bene degli affari, preferisce la tranquillità, nè sa soffrir la soverchieria; affabile con tutti, fervido amico, zelante protettore. Non è adunque questi l’uomo di mondo? E qui forse mi si dirà: se ne trovano molti di codesti Cortesan in Venezia? Sì, non se ne scarseggia; ve ne sono di quelli che più o meno posseggono le qualità di questo carattere; trattandosi però di metterlo in atto agli occhi del pubblico, convien sempre manifestarlo in tutta la sua perfezione. Affinchè un carattere qualunque faccia più effetto sulla scena, fui sempre di sentimento che bisognasse porlo in contrasto con caratteri opposti: introdussi perciò nella mia rappresentazione un maligno veneziano che mette in mezzo i forestieri. Il Cortesan senza conoscere le persone ingannate, le difende dalle insidiose trame di costui, e smaschera il briccone. Arlecchino poi non è in questa commedia un servitore stordito, ma un uomo senza volontà di far nulla, e che pretende di esser mantenuto dalla sorella ne’ propri vizii. Il Cortesan procura un collocamento alla giovine, e pone il pigro nella necessità di lavorare per vivere; in somma l’uomo di mondo compie il suo bellissimo ufficio ammogliandosi egli stesso, e scegliendo fra le donne di sua conoscenza quella che aveva meno pretensioni e più merito. Questa rappresentazione ebbe un successo mirabile, e ne ero veramente contento. Vedevo i miei compatriotti abbandonare l’antico gusto della farsa, ed avevo avanti gli occhi l’annunziata riforma senza però potere ancora vantarmene. Questa composizione non era in dialogo, nè altro vi era di scritto, che la parte dell’at-