Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/18

Da Wikisource.
16 parte prima

ferto in tre mesi per divertirmi a mie spese: no, non facevo l’ignorante, io era tale in realtà. Questo è un fenomeno, che neppur io saprei spiegare. Mi esortò il reggente a continuare nello studio; e siccome egli pure doveva passare alla classe superiore ove io era per entrare, mi assicurò della sua benevolenza. Mio padre, contento di me, procurò di ricompensarmi, e di divertirmi nel tempo delle vacanze. Sapeva benissimo che io amava gli spettacoli, e poichè li amava egli pure, messe insieme una compagnia di giovani; gli fu data una sala nel palazzo Antinori, ove egli fece erigere un piccolo teatro, addestrò da sè stesso gli attori, e noi vi recitammo commedie. Negli Stati del Papa (eccettuate le tre Legazioni) non son permesse sul teatro le donne. Ero giovine, non ero brutto; mi si assegnò una parte da donna, mi fu data la prima parte, fui incaricato del prologo. Era questo prologo una composizione così singolare, che mi è rimasta sempre impressa nella memoria: bisogna che ne faccia un dono al lettore. Nello scorso secolo la letteratura italiana era così corrotta ed alterata, che poesia e prosa erano un’ampollosità. Le metafore, le iperboli, e le antitesi si sostituivano al senso comune. Questo depravato gusto non era ancora totalmente estirpato nel 1720, e mio padre vi si era assuefatto. Ecco qui pertanto il principio del bel pezzo, che mi si fece spacciare. Benignissimo cielo! (io diceva ai miei uditori) ai rai del vostro splendidissimo sole, eccoci quali farfalle, che, spiegando le deboli ali dei nostri concetti, portiamo a sì bel lume il volo: ec. ec.

Tale grazioso prologo mi guadagnò uno staio di confetti, dai quali fu inondato il teatro, ed io quasi accecato. Questo è l’ordinario applauso negli Stati del Papa.

La rappresentazione, nella quale avevo recitato, era la Sorellina di don Pilone: fui molto applaudito, poichè in un paese ove gli spettacoli son rari, gli spettatori non son difficili a contentarsi. Conobbe mio padre che non mancavo d’intelligenza, ma che non sarei stato mai buono attore; nè s’ingannò. I nostri spettacoli durarono fino alla fine delle vacanze. All’apertura delle scuole, presi il mio posto: a fin d’anno passai alla rettorica, e così diedi compimento agli studi di umane lettere, avendo guadagnato l’amicizia e la stima dei Gesuiti, che mi fecero l’onore di offrirmi un posto nella loro società, che non accettai. In questo tempo seguirono molti cangiamenti nella nostra famiglia. Mia madre, che non poteva più lungamente tollerare la lontananza del suo figlio maggiore, pregò suo consorte di ritornare a Venezia, o permetterle di raggiungerlo ov’egli era. Dopo molte lettere e molte discussioni fu deciso, che madama Goldoni venisse a riunirsi col resto della famiglia in compagnia di sua sorella e del figlio minore. Tutto fu eseguito. In Perugia non potè mia madre goder mai un solo giorno di buona salute: l’aria del paese era per lei fatale poichè, nata ed assuefatta al temperato clima di Venezia, non poteva reggere ai rigori d’un paese montuoso; soffrì molto, e fu ridotta quasi a morte. Seppe però superare gl’incomodi ed i pericoli inquanto che credè necessaria la mia permanenza in codesta città per non espormi ad interrompere gli studi, che erano già sì bene inoltrati.

Terminate le umane lettere, e compito il corso di rettorica, indusse mio padre a compiacerla, ed egli vi condiscese di buon animo. La morte del suo protettore Antinori gli aveva cagionato disgusti. I medici di Perugia non lo riguardavano di buon occhio; prese però il partito di abbandonare il Perugino, e di ravvicinarsi alle lagune adriatiche.