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232 parte seconda


medico di Milano, da cui venni risanato con l’apologo del fanciullo. Feci l’elogio del dotto olandese; anzi il Duni, che lo aveva veduto per più mesi, mi raccontò varie particolarità de’ suoi usi e de’ suoi costumi, e mi parlò della signorina Boerrhaave, ch’era giovine, ricca, bella, e non ancor maritata. Di discorso in discorso venne il mio amico a far parola sull’educazione delle signorine olandesi; le quali, incapaci di mancare ai loro doveri, godono una deliziosa libertà, ed ordinariamente non si maritano che per ragioni di convenienza. L’ascoltai con molta attenzione, e mi formai in mente alcuni embrioni di commedia che vidi poi nascere a poco a poco col soccorso della riflessione e della morale.

Occultai bensì in questa commedia il nome di Boerrhaave sotto quello di Bainer, medico e filosofo olandese. Feci andare alla casa di lui un Polacco che soffriva la stessa malattia del signor Duni che da Bainer vien trattato nel modo istesso; ma alla fin dei conti questo Polacco sposa la figlia del medico.

Il Duni vide la mia commedia qualche tempo dopo, ed avrebbe voluto essere stato guarito come il malinconico del Nord; ma la musica non fa in Olanda la fortuna istessa che fa a Londra e a Parigi.

CAPITOLO XXXII.

Critiche de’ miei nemici. — Difese dei miei partigiani. — Accusa di aver mancato nella purità della lingua toscana. — Il Tasso fu criticato in egual modo. — La mia commedia di cinque atti ed in versi, intitolata: Torquato Tasso. — Notizie preliminari, riguardanti la sua vita. — Ristretto di questa commedia.

Il mìo viaggio di Parma, il diploma e la pensione che ne avevo ottenuta, risvegliarono l’invidia e lo sdegno de’ miei nemici. Costoro sparsero voce in Venezia, nel tempo della mia assenza, che io era morto; e vi fu un frate che audacemente asserì d’essersi trovato alle mie esequie. Ma giunto in patria sano e salvo, i perversi spiriti si vendicarono della mia buona sorte. Non erano gli autori, miei antagonisti, che mi tormentavano: ma solo i partigiani dei diversi spettacoli di Venezia.

Alcuni letterati, che avevano qualche considerazione per me, si presero l’incarico di difendermi; ed ecco perciò una guerra dichiarata, nella quale mi toccava ad essere vittima innocente di tutti gli animi irritati. È sempre stato mio costume di occultare i nomi dei malvagi; posso però ben onorarmi del nome dei miei difensori. Il padre Roberti gesuita, oggi abate Roberti, uno dei più illustri poeti della soppressa Compagnia, pubblicò uno poema in versi sciolti, intitolato La Commedia, nel quale, parlando della mia riforma e facendo l’analisi, di alcune scene delle mie commedie, incoraggiva i suoi e miei compatriotti a seguitare l’esempio ed il metodo dell’autore veneto. Dietro l’abate Roberti venne il conte Verri milanese, che intitolò la sua opera La Vera Commedia; fece in essa particolari estratti di quelle mie che gli parvero migliori, esponendole quali modelli da imitarsi per condur felicemente al termine la riforma del Teatro italiano. Il Museo di Apollo, poema in versi martelliani di sua eccellenza Niccola Beregan, nobile veneziano era lo scritto più ragguardevole di tutti gli altri. Infatti tale opera, benissimo composta e ricca di dotte note, fu dal pubblico gustata con estremo piacere, e mi fece un infinito onore. Altri patrizi vene-