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Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/247

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capitolo xxxviii 245


ed era accompagnata dai cantanti e suonatori di prim’ordine che si trovano a Roma copiosissimi in ogni classe e in ogni ceto. Al dire del mio caro abate *** tutti questi divertimenti si davano sempre in riguardo del signor avvocato Goldoni, ond’io non potevo fargli maggior dispiacere, che andare a pranzo fuori, o passar la sera in qualche altro luogo. Entrando un giorno in casa, e sentendo dire che non desinavo quella mattina seco lui, andò fortemente in collera, e ne rimproverò mia moglie. — Ebbene, nessuno mangerà (andava dicendo) la pietanza da me fatta per l’avvocato Goldoni. — Indi passando in cucina, dà un’occhiata malinconica alle vivande deliziose da lui stesso fatte con tanto studio e piacere, e vinto dalla collera, getta furiosamente nel cortile la cazzaruola. La sera torno, e l’abate era a letto, nè volle vedermi; tutti gli altri ridevano, ed io, all’opposto, ne provavo sommo rincrescimento; ma in questo tempo il servitore mi diè il biglietto d’invito per intervenire il giorno dopo alla prova della mia commedia; ciò m’importava più d’ogni altra cosa, onde posi in dimenticanza il caro abate, e dormii molto tranquillo.

CAPITOLO XXXVIII.

Prima prova della Vedova di spirito. — Cattivo preludio. — Caduta di questa commedia. — Buranello, musico famoso, non ha verun incontro nell’istesso tempo al teatro Aliberti. — Singolarità delle platee di Roma. — Mio nuovo accordo col conte ***. — Felice successo delle mie commedie al teatro Capranica. Pamela maritata, commedia in tre atti ed in prosa, composta per gli attori di questo teatro.

Vado dal signor conte *** per assistere alla prova della mia composizione, ed i comici pure vi eran concorsi. Avevano già studiato le loro parti, e le sapevano a mente a maraviglia; onde edificato della loro attenzione mi ero proposto di secondare il loro zelo, e di aiutarli quanto valevano le mie forze. Si dà principio: donna Placida e donna Luisa erano due giovani romani, un ragazzo parrucchiere, ed un garzone legnaiuolo. Oh cielo! che declamazione caricata! che goffaggine nei movimenti! nessuna verità, nessuna intelligenza. Dico in generale qualche cosa sopra il cattivo gusto della loro declamazione, ed il Pulcinella, ch’era sempre l’oratore della compagnia, mi risponde prontamente: — Signore, ciascuno ha la sua maniera; questa è la nostra. — Prendo il mio partito, nè dico altro: solamente fo loro osservare che la commedia mi pareva un po’ troppo lunga. Questo era il solo articolo sul quale andavamo d’accordo; onde l’abbreviai di un buon terzo per diminuirmi la pena d’ascoltarli; e comunque io ne fossi nauseato, intervenni nulladimeno al restante delle prove fino all’ultima. In Roma gli spettacoli si aprono tutti in una volta il 26 di dicembre. Ero tentato di non lasciarmi vedere; ma siccome il signor conte mi aveva destinato un posto nel suo palchetto, non potevo per convenienza ricusare di andarvi. Vado: il teatro era già illuminato; si stava per alzare il sipario, nè si vedevano più di cento persone nei palchetti, e più di trenta nella platea. È vero, che ero avvertito essere il teatro Tordinona quello dei carbonai e dei barcaioli, e che senza il Pulcinella i dilettanti delle farse non ci sarebbero concorsi; ma credevo sempre che un autore fatto venire espressamente