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Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/249

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capitolo xxxviii 247


droni di quelle che facevo stampare ogni anno; onde tal richiesta non era se non se una buona grazia che volevano usarmi in riconoscenza dei profitti che aveano ricavati dalle mie composizioni. Condiscesi ai loro desiderii senza far sembiante di accorgermi di una simile intenzione, e dimandai se avevano qualche tema da darmi che fosse stato di loro piacere; mi proposero adunque il sèguito di Pamela, ed io promisi che l’avrebbero avuto avanti la mia partenza. Mantenni la parola, e ne furono contenti; ed io non meno di loro per la maniera nobile e generosa con la quale vennero ricompensate le mie cure.

Questa commedia si trova nelle raccolte delle mie Opere sotto il titolo di Pamela maritata. Una figlia savia, dotata d’ingegno e d’ottimi costumi, divenir non poteva se non se una moglie virtuosa e prudente; onde Pamela, amata dal suo marito, rispettata da tutti, e in uno stato di opulenza, nulla aver potea da desiderare, nulla da temere. Tutto ciò era da ammirarsi; ma non vedevo nella condizione di lei la minima traccia che fornir potesse un soggetto da commedia, ed essendo nell’impegno di trovarne uno, non voleva cadere al solito nel romanzesco; onde ricorsi alla gelosia, la quale, senza escire dall’ordine delle passioni ordinarie, agir poteva sul cuore di milord Bonfil, conosciuto già fin dalla prima commedia per sensibilissimo e sottoposto ad ipocondriaci assalti, propri della sua nazione. Pamela però era sempre nel suo operare precisa, e milord sempre ragionevole. Come mai adunque il germe della discordia poteva penetrar in seno di codesti due esseri per renderli infelici? Confesso schiettamente che durai fatica a mettere insieme un nodo che non aveva per base se non se fallaci apparenze, e molto più poi per condurlo sino allo svolgimento senza variare il carattere degli eroi che le rappresentavano, nè mancare alle leggi della verisimiglianza. Forse sarò stato in errore, ma credetti di aver fatto un’opera, la quale, senza escire dalle comuni vie della natura, offrisse un piacevolissimo e delicatissimo argomento. Non l’ho veduta recitare; ma seppi ch’essa riportò in Roma un successo meno splendido di quello della precedente Pamela, nè me ne maravigliai, perchè nella seconda vi era più studio e maggior finezza, laddove nella prima si trovava maggior affetto e maggior intreccio. In somma una era fatta per il teatro, l’altra per il tavolino.

Domando scusa a chi me la ordinò, se mancai di soddisfare al suo intento. Aveva loro dimandata la scelta del soggetto, e non ho niente a rimproverarmi d’averlo negletto.

CAPITOLO XXXIX.

Il carnevale di Roma. — Corsa de’ barberi. — Impaccio del mio ospite. — Divertimenti della quaresima. — Messa pontificale — La funzione della lavanda. — Il Miserere della cappella del Vaticano. — La festa dei santi Pietro e Paolo. — Ragioni che m’impedirono di andare a Napoli. — Mia partenza da Roma.

L’apertura del carnevale segue quasi per tutta l’Italia alla fine di dicembre, o al principio di gennaio. In Roma, questo tempo di allegrezza o follia, singolare per la libertà delle maschere, non incomincia che negli ultimi otto giorni, nè le maschere si tollerano, se non dalle due dopo il mezzogiorno fino alle cinque. Tutti al far della notte debbono andare a viso scoperto onde può dirsi che il