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270 parte terza


luomo di camera del re, ch’era allora nel suo anno di esercìzio, è quegli appunto da cui ero stato chiamato. Mi ricevè con bontà e mi onorò sempre della sua benevolenza. Era già tardi, nè ci restava tempo per compire le visite che ci eravamo proposti di fare; prendemmo dunque una carrozza, e andammo dalla signorina Cammilla veronese, dalla quale eravamo aspettati a pranzo. Non è possibile trovare persona più allegra ad amabile della signorina Cammilla. Ella recitava sempre le parti di servetta nelle commedie italiane, ed era la delizia di Parigi sulla scena, non meno che nelle conversazioni, ovunque si avesse la fortuna d’incontrarla.

Entrammo a pranzo. I commensali erano in gran numero, il trattamento delicato, la compagnia sommamente dilettevole. Il caffè fu preso a tavola, nè ci alzammo che per andare alla commedia. Il teatro degl’Italiani restava allora in via Mauconseille all’antico palazzo di Borgogna, ove il Molière aveva dato prove del suo ingegno e della sua arte. Era appunto giorno d’opera buffa, e si rappresentava Il Pittore innamorato del suo modello, e Sancio Panza. Fu questa la prima volta ch’io vidi quel singolar mescuglio di prosa e ariette, e conobbi subito, che se il dramma in musica era per sè stesso un’opera imperfetta, questa novità lo rendeva certamente anche più mostruoso. Nonostante feci dopo alcune considerazioni. Non mi trovavo contento del recitativo italiano, e molto meno di quello dei Francesi; e siccome nell’opera buffa devesi passare sopra alla regola ed alla verisimiglianza, è meglio, senza dubbio alcuno, sentire un dialogo ben recitato, che soffrire la monotonia di un recitativo noioso. Fui bensì contentissimo degli attori di questo spettacolo. La maniera di recitare della signora La Ruette uguagliava la bellezza della sua voce, ed il signor Clerval, attore eccellente, piacevolissimo nel buffo, e commovente nelle scene patetiche, pieno di brio, di intelligenza e di gusto non dava allora che i primi segni di quei pregi intellettuali, che da lui stesso furono dipoi condotti all’ultimo grado di perfezione, e che gli fecero sempre godere il medesimo credito e gli stessi applausi dal pubblico.

Il signor Caillot era esso pure uno di quei soggetti rari, ai quali nulla manca per farsi applaudire. Il signor La Ruette, superiore a tutti nelle parti caricate, sempre vero, sempre esatto, si faceva stimare per l’azione, malgrado la pochezza della sua voce. La signora Bérard, e la signorina Desglands, la prima per la sua vivacità, e la seconda per la sua bella voce, figuravano egualmente nelle parti di governante. Tutti questi soggetti, degni di stima e di riputazione, non era possibile che non mi piacessero; contuttociò io non era nel caso di profittare dei loro pregi, poichè l’esame al quale ero destinato, non li riguardava in alcun modo. Ora per esser meglio a portata di conoscere i miei attori italiani, presi a pigione un quartiere vicino al teatro, ove incontrai una graziosa pigionale, la cui conversezione mi fu utilissima e del massimo divertimento. Questa era la signora Riccoboni, la quale, avendo già lasciato il teatro, formava la delizia di Parigi per i suoi romanzi, che per la purezza di stile, delicatezza d’immagini, verità di passioni, e arte di commuovere e divertire, nel tempo istesso, la mettevano alla pari di quanto havvi di stimabile nella letteratura francese. Alla signora Riccoboni appunto io m’indirizzai per avere qualche notizia preliminare riguardante i miei attori italiani. Essa li conosceva già a fondo, e me ne diede un’esatta informazione ch’io trovai in séguito giustissima, e degna della sua cortesia e sincerità.