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280 parte terza


divertimento inaspettato avrebbe potuto ravvivare molto lo spettacolo, ma questo poteva piuttosto dirsi un inno, che un’arietta. Calato il sipario, tutte le persone di mia conoscenza mi domandavano come avevo trovato l’opera; m’esce di bocca colla velocità del lampo questa risposta: È un paradiso per gli occhi, un inferno per gli orecchi. — Questa risposta insolente e irriflessiva muove taluni a ridere, ad altri fa digrignare i denti. Due persone della cappella del re la trovano eccellente. Per combinazione l’autore della musica non era troppo lontano dal posto in cui mi trovavo, e forse mi aveva udito, onde io era nella massima agitazione: era un brav’uomo... requiescat in pace.

Pochi giorni dopo vidi Castore e Polluce. Questo dramma perfettamente scritto, e stupendamente decorato, mi riconciliò un poco l’animo coll’Opera francese, riconoscendo allora la differenza che correva fra la musica del Rameau e l’altra che non mi era in modo alcuno piaciuta. Amico intimo di questo celebre compositore, avevo anche la più alta stima della sua scienza e del suo ingegno. Convien per altro dire il vero: il Rameau si era reso celebre, ed aveva prodotto in Francia, relativamente alla musica stromentale, una fortunata rivoluzione: con tutto questo non aveva fatti cangiamenti essenziali nella musica vocale. Si credeva che la lingua francese non fosse atta a prestarsi al nuovo gusto che volevasi introdurre nel canto; Gian Giacomo Rousseau era pure di tal parere, onde egli istesso restò maravigliato, allora quando gli parve di vedere il contrario nella musica del cavaliere Gluk. Ma questo abilissimo compositore tedesco non aveva fatto altro che accennare da lungi il recente gusto della musica italiana, essendo riserbata ai signori Piccini e Sacchini la gloria di recar a perfezione quella riforma, che ora gustasi dai francesi un giorno più dell’altro. Mi sono esteso in questa piccola digressione senz’accorgermene. Io non sono dell’arte, ma amo la musica per solo genio; onde se un’aria mi tocca il cuore, se mi diverte, la sento certamente con piacere, nè sto poi ad esaminare se la musica sia francese o italiana. In quanto a me, sono di sentimento che non ve ne sia che una sola.

CAPITOLO VII.

Incendio del teatro dell’Opera. — Musica sacra. — I due anni del mio impegno per Parigi sono prossimi al loro termine. — Mia indecisione. — L’ambasciatore di Venezia vuole ravvicinarmi alla patria. — Morte di questo ministro. — Avvenimento per me fortunato. — Mio impiego al servizio delle principesse di Francia. — Corro rischio di perder la vista. — Miei difetti. — Mie ridicolezze in conversazione.

Avrei mai potuto dubitare, allorquando intervenni alla rappresentazione di Castore e Polluce, che quelle tavole e que’ scenarii che avevano resistito alle fiamme infernali di quest’opera, sarebbero ridotte in cenere prima del termine del mese? Ciò però avvenne. Una candela dimenticata cagionò la distruzione totale del teatro del Palazzo Reale, e nell’aspettativa della costruzione d’un nuovo edifizio, l’Opera fu trasferita al palazzo delle Tuileries, ove attualmente c’è la musica sacra.

Qui ora cade in acconcio far parola di questo spettacolo, consacrato alle lodi di Dio, e che sta aperto in tutti i giorni nei quali