Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/30

Da Wikisource.
28 parte prima


intorno a sè una piccola famiglia di altri piccoli gozzi. Un gran flagello per le donne è il vaiuolo; ma non credo, che una giovine, che ne fosse bezzicata, baratterebbe mai le sue bezzicature con un gozzo milanese. Profittai molto della libreria del professore, percorsi le Instituzioni del Gius Romano, ed arricchii la mente delle materie per le quali ero destinato. Non sempre mi fermavo sopra i testi della Giurisprudenza; vi erano dei palchetti forniti ancora di una collezione di commedie antiche e moderne, e questa era la mia lettura favorita. In tutto il tempo della mia dimora a Pavia mi ero proposto di dividere le mie occupazioni fra lo studio legale ed il comico; ma il mio ingresso nel collegio mi cagionò più dissipazione che studio, e feci bene a mettere a profitto quei tre mesi che dovetti aspettare le lettere dimissorie e gli attestati di Venezia.

Rilessi con maggior cognizione e maggior piacere i poeti greci e latini, e dicevo a me stesso: vorrei poterli imitare nei loro disegni, nel loro stile, nella lor precisione, ma non sarei contento se non giungessi a porre nelle mie produzioni una maggior commozione, caratteri meglio espressi, più arte comica, e scioglimenti più felici. Facile inventis addere. Dobbiamo rispettare i gran maestri, che ci hanno spianata la strada delle scienze e delle arti; ma ogni secolo ha il suo genio dominante, ed ogni clima il suo gusto nazionale. Gli autori greci e romani hanno conosciuta la natura, l’hanno seguita da vicino; ma l’hanno esposta senza illusione e senza destrezza. Questa è la ragione, per la quale i Padri della Chiesa hanno scritto contro gli spettacoli, ed i Papi li hanno proscritti; ma la decenza li ha corretti, e l’anatema è stato rivocato in Italia; molto più dovrebbe esserlo in Francia; questo è un fenomeno che io non posso concepire.

Scartabellando sempre in questa libreria, vidi Teatri inglesi, Teatri spagnoli, Teatri francesi, ma non trovai Teatri italiani. Vi erano qua e là delle produzioni italiane di antica data, ma veruna raccolta, veruna collezione che potesse fare onore all’Italia. Vidi con pena, che mancava qualche cosa di essenziale a questa nazione, che aveva conosciuta l’arte drammatica prima di qualunque altra delle moderne: nè potevo comprendere, come l’Italia l’avesse negletta, avvilita, e imbastardita: desideravo però con passione di veder la mia patria rialzarsi a livello delle altre, e mi ripromettevo contribuirvi. Ma ecco una lettera di Venezia, che ci porta le dimissorie, gli attestati, la fede battesimale. Poco mancò, che quest’ultimo recapito non ci ponesse in un nuovo impiccio. Bisognava aspettare due anni, perchè giungessi all’età richiesta per il mio ricevimento nel collegio; non so qual fosse il santo che facesse il miracolo; so bene, che andai un giorno a letto con sedici anni, e il giorno dopo allo svegliarmi ne avevo diciotto.

CAPITOLO IX.

Mio allogamento in collegio e mie dissipazioni.

Mia madre aveva rimediato con accortezza al difetto di patrimonio per conseguire le lettere dimissorie dal patriarca di Venezia. Le fece spedire un segretario del senato, il signore Cavanis, a condizione che, essendo io nel caso di abbracciare lo stato ecclesiastico, vi fosse una rendita assicurata in mio favore.