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aveva ingegno e criterio; era amabile, buon dilettante di musica, aveva il dono di una voce graziosissima; con tutto questo egli ebbe a sopportare dispiaceri, che forse non meritava.

CAPITOLO XIII.

Mia corrispondenza cogl’impresari dell’Opera a Londra. — Vittorina, opera buffa. — Il Re alla caccia, altra opera buffa per Venezia, — Qualche parola sopra gli attori ed autori dell’Opera buffa di Parigi — Idea di un’operetta in due atti.

Ero chiamato a Londra. Questo è l’unico paese in Europa, che può disputare il primato a Parigi. Per me avrei avuto caro di vederlo; ma siccome avevo inteso parlare a Versailles di sposalizi grandiosi, ed avevo assistito a tutte le funzioni funebri della corte, volevo trovarmi anche in tempo d’allegria. E poi la richiesta della mia persona non proveniva dal re d’Inghilterra, ma bensì dai direttori dell’Opera, che volevano valersi di me pel loro spettacolo.

Procurai dunque di trar partito dall’opinione vantaggiosa che di me avevano, addussi delle buone ragioni per far gradire le mie scuse, ed esibii loro la mia servitù senz’obbligo di lasciar la Francia. Accettate le mie proposizioni, mi fu subito chiesta un’opera buffa nuova, e fui incaricato di raggiustare tutti i vecchi drammi ch’erano stati scelti per il corso dell’anno. Riguardo alla ricompensa, non se ne fece parola, ed io nemmeno ne feci menzione. Lavorai; gl’Inglesi furono contenti di me, ed io fui soddisfattissimo della loro onestà. Questa corrispondenza durò più anni, e cessò allorquando passò in altre mani la direzione dell’impresa; in questa occasione ricevei una prova sicura della loro soddisfazione, poichè mi fu pagata un’Opera, della quale non erano in caso più di servirsi: la direzione era allora in mano di donne, e le donne sono amabili in ogni luogo. La composizione più piacevole, ed eseguita con la maggiore diligenza, che io spedii loro, fu, a mio parere, un’opera buffa, intitolata Vittorina, per la quale ricevetti da Londra congratulazioni e ringraziamenti senza fine. Il signor Piccini, incaricato della musica, scrisse da Napoli, che non aveva mai letto dramma buffo con maggior piacere del mio; ma la riuscita non corrispose alla aspettazione dei direttori e mia.

È sempre vero che fa d’uopo mettere insieme un’infinità di bellezze per procurare una buona riuscita ad una commedia, essendo capace talvolta anche il più piccolo inconveniente di farla cadere. In Venezia però, ove avevo spedita quasi nel tempo medesimo un’opera buffa col titolo Il Re alla caccia, fui assai più fortunato. Il soggetto di questa composizione era eguale a quello del Re e del Fittuario del signor Sedaine, e della Caccia d’Enrico IV del signor Collé. Pareva bensì che le composizioni di questi due autori francesi avessero imitato quella del Re ed il Mugnaio, commedia inglese del Mansfield; ma la sorgente vera di tutti questi soggetti trovasi nell’Arcade di Zalamea, commedia spagnuola di Calderon. Nella commedia dell’autore spagnuolo vi è molto intreccio; havvi infatti una figlia violata, un padre vendicato, un uffiziale strangolato, e l’Alcade è giudice, parte, e carnefice a un tempo medesimo. In quella poi dell’autore inglese evvi filosofia, politica, critica, ma troppa semplicità, e pochissima azione. L’autore dunque della Caccia di Enrico IV ha formato di essa un’opera savissima e pia-