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capitolo xvi 309


tutta la mia commedia questi due personaggi sono quelli di cui più mi compiaccio. Una moglie che rovina manifestamente il marito, un marito che inganna sua moglie per soverchio affetto, sono esseri che purtroppo esistono, nè son rari nelle famiglie; onde io me ne valsi come episodii, benchè avessi potuto farne soggetti principali, da riuscir forse nuovi al pari del Burbero benefico. Ho adunque immaginato e scritto questa commedia in francese, ma non sono stato però tanto ardito di produrla, senza avere preventivamente consultato quelle persone che erano in grado d’istruirmi e correggermi, ed ho tratto profitto dai loro pareri.

Circa quel tempo era di ritorno a Parigi il signor Rousseau ginevrino. Tutti si affrettavano di vederlo; ma egli non era visibile a tutti. Io lo conosceva unicamente per fama, ed aveva gran desiderio di aver seco un colloquio, allo scopo di sottoporre la mia commedia al giudizio di un uomo tanto profondo conoscitore della lingua e della letteratura francese. Per essere sicuro di venire bene accolto, era necessario avvertirlo; a tale effetto presi l’espediente di scrivergli, manifestandogli il vivo desiderio che avevo di fare la sua conoscenza. Mi rispose garbatissimamente, che non esciva di casa, e mai andava in luogo alcuno; che se volevo prendermi l’incomodo di salir quattro scale in via Plâtrière, alla locanda Plâtrière gli avrei fatto sommo piacere. Accetto l’invito, e ci vo pochi giorni dopo.

Parmi a proposito render qui conto del mio colloquio col cittadino di Ginevra. Il risultato della nostra conversazione non fu molto importante, e nè si parlò della mia commedia, se non incidentalmente, e leggermente. Mi valgo però di tale opportunità per parlare di un uomo straordinario, che aveva ingegno straordinario, debolezze e pregiudizi incredibili. Salgo dunque al quarto piano della locanda indicatami, picchio: aprono, e mi si presenta una donna, nè giovane, nè bella, nè graziosa. Domando se il signor Rousseau è in casa. — Vi è, e non vi è (risponde questa donna, che io credeva tutt’al più sua governante); — e domanda il mio nome. Mi fo conoscere, ed ella allora soggiunse: Oh! appunto vi si aspettava; vo subito a darne avviso a mio marito. —

Entro, un momento dopo, vedo il celebre autore dell’Emilio, che stava copiando musica. Quantunque avvertito, pur non ostante non potevo tenermi dal fremere tra me di sdegno. Mi accoglie con modi schietti e amichevoli; si alza, e tenendo un quaderno in mano: Guardate (egli mi dice), se vi è alcuno, che copi la musica come me. Sfido, che dal torchio esca uno spartito così bello ed esatto come esce di casa mia. Andiamo, andiamo a scaldarci (egli prosegue). E non si dovea fare che un passo per accostarci al caminetto. Non essendovi fuoco, dimanda un ceppo, che è portato dalla signora Rousseau. Io mi alzo, faccio posto, ed offro una sedia alla signora: No, no, non v’incomodate (risponde il marito): mia moglie ha da fare; è occupata. — Sentivo lacerarmi il cuore. Veder fare il copista a un letterato di quella fatta, ed a sua moglie la serva, era veramente per i miei occhi uno spettacolo desolante, nè potevo celare la mia pena e la mia maraviglia, benchè non dicessi nulla. Questo uomo che non era un balordo, pur troppo si accorse che il mio animo era angustiato: onde fattemi diverse interrogazioni, fui forzato a confessargli la cagione del mio silenzio e sbalordimento. — Come? (prese egli a dire) voi mi compiangete perchè mi occupo a copiare? siete voi dunque di parere che io facessi meglio a compor libri per gente che non sa leggere, o a somministrare materie per