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CAPITOLO XXV.

Partenza del cavaliere Giovanni Mocenigo ambasciatore di Venezia. — Il cavaliere Zeno gli succede. — Proibizione dei giuochi rovinosi in Parigi. — Alcune parole sopra un nuovo libro intitolato la Passione del Giuoco. — Alcune osservazioni sopra i giuochi di conversazione.

Tutto quello che nel precedente capitolo ho detto, non ha relazione all’anno medesimo. La connessione delle materie m’obbliga talvolta ad abbandonar l’ordine de’ tempi, ma non tardo molto a ritornarvi: ed eccomi perciò all’anno 1776. In quest’anno la contessa d’Artois partorì una principessa, cui il re assegnò immediatamente il titolo di Mademoiselle. Ecco il tempo nel quale il cavaliere Giovanni Mocenigo ambasciatore di Venezia terminò il quarto anno della sua ambasciata, ed ebbe per successore il cavalier Zeno. Questo patrizio veneto veniva allora di Spagna, ove i giuochi eran permessi, e li trovò ancor più in uso in questa capitale. Si giocava in casa dei signori, si giocava in casa di qualche ministro estero. Siccome il giuoco era appunto la passione che predominava, il signor Zeno riceveva perciò moltissima gente in casa sua, trattava tutti alla grande, e vi si giuocava in egual modo.

Precisamente in questo tempo, il governo francese, cominciava ad aprire gli occhi sopra questa dannosa tolleranza che conduceva la gioventù e le famiglie intere alla ruina. Furono perciò proibiti i giuochi d’invito. Alcuni ministri esteri pretendevano di godere i privilegi del corpo diplomatico, e questa resistenza produsse cattive conseguenze. In questo mentre comparve anche un libro intitolato La passione del giuoco, del signor di Saulx. Quest’opera è un trattato completo che comprende la moralità, l’ordine, e la politica di un simil soggetto. È insomma, un libro classico, di cui appunto era mancante la collezione delle opere che possono dirsi utili alla società; e non dubito che abbia contribuito molto alla soppressione de’ giuochi pericolosi. Il signore di Saulx non lascia di battere, benchè leggiermente, anche i giuochi che si chiamano di trattenimento o di conversazione, non intendendo di proscriverli affatto, bensì di moderarli. Sembrava che i piccoli giuochi fossero divenuti oramai necessari. Non è di fatto possibile passare una serata senza far qualche cosa. Dopo le novità del giorno, dopo la critica del prossimo e talvolta degli istessi propri amici, bisogna per necessità giuocare.

È vero che il giuoco è un divertimento onesto e piacevole; ma non tutti gradiscono divertirsi nel modo medesimo; di ciò è causa la differenza dei temperamenti. Quante persone non vi sono di modi soavi e di pulitissimo tratto, che mutano poi tono, carattere ed anche aspetto, poste a un tavolino da giuoco? Un uomo generoso divien talvolta furibondo, anche per una perdita leggiera. La cagione non è, egli dice, la perdita del danaro, ma bensì l’amor proprio. Può darsi; ma giuoco ancor io, e dico con sincerità di aver più piacere di vincere sei franchi che di perderli. Segno esattamente la mia vincita e la mia perdita, e sono lietissimo allorquando mi ritrovo, alla fine del mese, qualche scudo di guadagno. In quel momento non è già l’amor proprio che mi acca-