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Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/36

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34 parte prima


a Milano, per prevenire il mio protettore del disgusto che mi era accaduto; ma due persone del mio paese, che incontrai per caso al giuoco dalla palla a corda, mi fecero mutare idea. Erano questi il segretario e il maestro di casa del Residente della Repubblica di Venezia a Milano. Questo ministro (il signor Salvioni) era morto da poco tempo e bisognava che il suo séguito ed i suoi equipaggi passassero a Venezia. Questi due signori, che erano a Pavia per noleggiare un battello coperto, mi esibirono di condurmi seco loro; mi assicurarono, che la compagnia era piacevole, che non mi sarebbe mancato nè buon trattamento, nè giuoco, nè buona musica, e tutto gratis: poteva io ricusare una sì bella occasione? Accettai senza esitare nè anche un istante; ma siccome non partivano tanto in fretta, dovevo aspettare ed il collegio era per chiudersi. Il prefetto garbatissimamente, e forse anche per dar nel genio al mio protettore, volle tenermi in sua casa, ed ecco un mio nuovo delitto per i compagni. Questa parzialità del superiore a riguardo mio gl’irritò maggiormente: scellerati! me la fecero pagar cara!

CAPITOLO XII.

Viaggio dilettevolissimo. — Discorso da me composto. — Ritorno a Pavia per la Lombardia. — Incontro piacevole. — Pericolo di assassinio. — Fermata a Milano in casa del marchese Goldoni.

Tosto che la compagnia fu in ordine per la partenza, fui mandato a cercare. Andai alla riva del Tesino, ed entrai nel battello coperto, ove tutti si ritrovarono. Nulla di più comodo ed elegante di questo piccolo naviglietto chiamato burchiello, fatto venire da Venezia espressamente. Consisteva in una sala e stanza contigua, coperte di legname con balaustrato soprapposto, ed ornate da specchi, pitture, sculture, scaffali, panche e sedie della maggior comodità. Era ben diverso dalla barca dei commedianti di Rimini.

Eravamo dieci padroni e parecchie persone di servizio: vi erano dei letti sotto la prua e sotto la poppa, ma non si dovea viaggiar che di giorno, e di più si era stabilito, che ci saremmo coricati in buoni alberghi, e dove non ne fossero, avremmo domandato ospitalità ai ricchi Benedettini che possedevano beni immensi, lungo le due rive del Po. Tutti codesti signori suonavano qualche stromento. Vi erano tre violini, un violoncello, due oboè, un corno da caccia ed una chitarra. Io solo non era buono a nulla, e me ne vergognavo, ma procurando di supplire al difetto di utilità, mi occupavo per due ore del giorno a mettere in buoni o cattivi versi gli aneddoti e divertimenti del dì precedente. Questa bizzarria dava sommo piacere ai miei compagni di viaggio, ed era dopo il caffè il comun nostro divertimento.

La loro occupazione favorita era la musica. Infatti sul far della sera prendevano posto sopra una specie di coverta, che forma il tetto dell’abitazione ondeggiante, e di là facevano risuonar l’aria dei loro armoniosi concerti, traendo a sè, da tutte le parti, le ninfe ed i pastori di quel fiume già tomba di Fetonte. Direte voi forse, mio caro lettore, essere alquanto enfatico il mio racconto? Potrebbe anch’essere; ma tale appunto dipingevo nei miei versi la nostra serenata. Il fatto sta, che le rive del Po, chiamato dai poeti italiani il re dei fiumi, erano attorniate da tutti gli abitanti di quelle vicinanze, che vi correvano in folla per sentire, e coi cappelli in