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Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/38

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36 parte prima


calesse solo con lui. Quando fummo fuori di città, il mio condottiero incontrò uno dei suoi compagni che doveva fare appunto il viaggio istesso di noi, e che non aveva in calesse che una sola persona. Era questa una donna, che mi parve giovine e bella: fui curioso di vederla da vicino, e nel primo desinare restò appagata la mia curiosità. Vidi una veneziana, che giudicai dall’età di trent’anni, oltremodo garbata ed amabile; si fece tra noi conoscenza, e si fissò con i vetturini, che, per essere meno sbalzati dal calesse per motivo della cattiva strada, si sarebbe occupata la sedia medesima, e due cavalli sarebbero andati a vuoto alternativamente.

I nostri colloqui furono piacevolissimi, ma decentissimi. Vedevo per altro bene, che la mia compagna di viaggio non era una vestale, e che aveva il tono della buona compagnia; ma passammo le notti in camere separate con la maggior regolarità. Arrivando a Desenzano in riva al lago di Garda fra la città di Brescia e quella di Verona, ci fecero smontare in un albergo che corrispondeva sopra il lago.

Vi si trovavano in quel giorno molti viandanti, e non vi era che una camera con due letti per madama e per me. Cosa fare? Bisognava pure adattarsi: la camera era molto grande, ed i letti non si toccavano. Ceniamo, ci diamo a vicenda la buona notte, e ciascuno si chiude nei suoi lenzuoli. Prendo subito sonno secondo il mio solito, ma lo interrompe un violento fracasso, e mi sveglio repentinamente. Non vi era lume; ma al chiaror della luna, che passava per le finestre senza imposte e senza tende, vidi una donna in camicia, ed un uomo a’ suoi piedi: domando cos’è? la mia bella eroina con una pistola in mano mi dice in tono di fierezza e di scherno: — Aprite la porta, signor abate, gridate al ladro, e poi tornate a letto. — Non tardo un istante, apro, grido, vien gente, e il ladro è preso: fo poi delle ricerche alla mia compagna, che non si degna darmi conto della sua bravura. Pazienza! me ne ritorno a letto, e dormo fino al giorno dopo.

La mattina partendo fo ringraziamenti alla mia compagna: ella sempre scherza; così continuiamo il nostro viaggio per Brescia, ed arriviamo a Milano. Là ci lasciamo officiosamente: io contentissimo della sua ritenutezza, ella forse scontenta della mia continenza.

Andai a smontare all’abitazione del signor marchese Goldoni, e restai in sua casa sei giorni per aspettare il termine delle vacanze. Mi furon tenuti dal mio protettore discorsi molto aggradevoli e tali da ispirarmi molta speranza e molto ardore: mi credevo al colmo della felicità, ed ero sull’orlo della mia rovina.

CAPITOLO XIII.

Terzo anno di collegio. — Mia prima ed ultima satira. — Mia espulsione dal collegio.

Avevo intesa a Milano la morte del superiore del mio collegio, e conoscevo il signor abate Scarabelli suo successore. Arrivato a Pavia andai a presentarmi al nuovo prefetto, il quale, essendo in istretta amicizia col senator Goldoni, m’assicurò della sua benevolenza. Feci visita ancora al nuovo decano degli alunni, che dopo le solite ceremonie di convenienza, mi domandò se avessi voluto sostenere quell’anno la mia tesi di gius civile: aggiunse, che toccava