Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/42

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40 parte prima


e che non mi abbandonerà. Ah! se io potessi diventare scolare di Gravina, l’uomo più istruito nelle belle lettere, e più dotto nell’arte drammatica... Oh Dio! se prendesse affetto per me come fece per Metastasio! non ho forse, io pure, disposizioni ed ingegno? Sì: a Roma, a Roma. Ma come farò io ad andarvi? Avrò danaro che basti?... Andrò a piedi... a piedi?... Sì: a piedi. E il mio baule, e le mie robe? Vadano al diavolo il baule e le robe. Quattro camicie, calze, golette e berretti da notte, ecco il bisognevole. — Vaneggiando in tal guisa ed in tal modo farneticando, empio una valigia di biancheria, la pongo in fondo al baule, e la destino ad accompagnarmi a Roma. Siccome dovevo andarmene speditamente, scrissi al camerlingo del collegio per aver danaro: mi rispose che non aveva più in mano verun capitale di mio padre, che peraltro il mio viaggio per acqua, ed il mio trattamento sarebbero stati pagati sino a Chiozza, e che il provvisioniere del collegio mi avrebbe dato un piccolo involto, di cui mio padre gli avrebbe reso conto.

Il giorno appresso allo spuntar dell’alba sono cercato con una carrozza: si carica il mio baule, ed il provvisioniere vi sale meco: arriviamo al Tesino, entriamo in un piccolo battello, ed andiamo là dove questo fiume mette foce nel Po ad incontrare un’ampia e cattiva barca carica di sale. Son consegnato dal mio conduttore al padrone della medesima, cui parla all’orecchio, quindi mi dà un piccolo involto per parte del camarlingo del collegio, mi saluta, mi augura buon viaggio, e mi lascia. La mia maggior premura è di esaminare il piccolo tesoretto. Apro l’involto. Oh cielo! qual piacevole stupore per me! Vi trovo quarantadue zecchini fiorentini (venti luigi all’incirca). Buoni per andar a Roma! Farò dunque il viaggio per la posta e col mio bagaglio. Ma come mai il camarlingo, che non aveva capitale alcuno di mio padre, mi ha potuto affidare tal danaro? Nel tempo che facevo queste riflessioni, e mille dilettevoli disegni, torna indietro col suo battello il provvisioniere. Aveva preso sbaglio; questo era danaro del collegio, e doveva esser pagato a un mercante di legname: riprese dunque il suo gruppo, e mi lasciò trenta paoli, che formano il valore di quindici franchi. Eccomi abbastanza ricco: per andare a Chiozza non mi occorreva danaro, ma per andare a Roma? I zecchini, che avevo avuti in mano, mi facevano sempre più girar la testa: bisognava però consolarsene, e ritornar di nuovo al disgustoso compenso del pellegrinaggio. Avevo il letto sotto la prua, ed il baule presso di me: desinavo e cenavo col mio ospite, ch’era il conduttore della barca, da cui mi venivano fatti racconti da dormire in piedi. Dopo due giorni arrivammo a Piacenza, dove il padrone vi aveva qualche affare; prese dunque terra, e vi si fermò. Credei allora giunto il momento a proposito per andarmene: prendo meco la valigia, e dico al mio uomo, che avendo commissione di farla recapitare al consiglier Barilli mi prevalevo dell’opportunità. Il manigoldo m’impedisce di uscire; aveva già avuto ordine espresso di impedirmelo, e siccome persistevo nel mio volere, egli minacciò di ricorrere al braccio del governo per ritenermi. Bisogna cedere alla forza, morir di spasimo, andare a Chiozza, o gettarsi nel Po. Rientro nel mio bugigattolo; le disgrazie non mi avevano ancor fatto piangere, ma questa volta io piansi. La sera mi si chiama a cena, ed io ricuso di andarvi: pochi minuti dopo sento una voce ignota, che in tono patetico pronunzia queste parole Deo gratias. Ancora ci si vedeva bastantemente: guardo per una fessura a traverso alla porta, e veggo un religioso che viene alla mia volta; apro l’uscio ed egli entra.