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capitolo xix 55


alle loro preghiere, e partii negl’impeti più fervorosi della contrizione. Arrivato a Chiozza, i miei cari genitori mi riceverono con carezze senza fine. Domandai loro la benedizione, me la diedero piangendo; parlai della mia nuova idea, non la disapprovarono. Mio padre mi propose di condurmi a Venezia, ed io ricusai con devota franchezza; ma dicendomi, che l’oggetto era di presentarmi al guardiano dei cappuccini, vi acconsentii ancora con tutto il piacere. Andiamo a Venezia, vediamo i nostri parenti, i nostri amici, desiniamo in casa degli uni, ceniamo in casa degli altri. Mi procurano un sollazzo ch’io non m’aspettava; mi conducono alla commedia, e in capo a quindici giorni non si parla più di clausura. Si dissipano le mie malinconie, e si rischiara la mia mente. Compiangevo sempre la persona che avevo veduta sul palco, ma riconobbi che non era necessario di rinunziare al mondo per evitare simil sorte.

CAPITOLO XIX.

Sempre a Chiozza. — Assenza di mio fratello minore. — Mio nuovo impiego. — Aneddoto di una religiosa e di una educanda.

Mio padre mi ricondusse a Chiozza, e mia madre, ch’era piena di pietà senza esser bigotta, fu molto contenta di rivedermi nella solita disposizione di animo. Le divenivo sempre più caro e meritevole d’attenzione a motivo dell’assenza del di lei figlio minore. Mio fratello, destinato già per il militare, era partito per Zara, capitale della Dalmazia. Fu indirizzato al signor Visinoni, cugino di mia madre, capitano dei dragoni, ed aiutante maggiore del provveditor generale di quella provincia, la quale appartiene alla Repubblica di Venezia. Questo bravo uffiziale, che tutti i generali che si succedevano a Zara volevano aver presso di sè, si era incaricato dell’educazione di mio fratello, che egli collocò in seguito nel suo reggimento.

In quanto a me, non sapevo che cosa dovesse esserne. Avevo provati nell’età di ventun’anno tanti sinistri accidenti, mi erano accadute tante catastrofi singolari, tante avventure disgustose, che non mi faceva più alcuna illusione, e non vedevo altro partito nel mio spirito che l’arte drammatica, che amavo sempre, e che avrei intrapresa da gran tempo, se fossi stato padrone della mia volontà. Mio padre dolente di vedermi divenuto lo scherzo della fortuna, non si perdè punto d’animo in certi casi, che divenivano seri per lui e per me. Aveva fatto spese considerabili ed inutili per darmi uno stato, ed avrebbe voluto procurarmi un impiego decente e lucroso, che non gli fosse di dispendio. Non era facile a trovarsi; lo trovò non ostante, e tanto di mio genio, che posi in dimenticanza tutte le perdite che avevo fatte, e non ebbi più nulla che mi rincrescesse.

La Repubblica di Venezia manda a Chiozza per governare un nobile veneziano col titolo di potestà; questo conduce seco un cancelliere per il criminale, impiego che corrisponde a quello di luogotenente criminale in Francia, e questo cancelliere criminale deve avere nel suo uffizio un aiuto col titolo di coadiutore.

Questi posti sono più o meno lucrosi, secondo i luoghi in cui si esercitano; sono però sempre piacevolissimi, poichè si sta alla tavola del governatore, si fa conversazione con sua eccellenza si vede ciò che vi è di più grande nella città, e, per poco che uno lavori, se la passa molto bene. Mio padre godeva la protezione del go-