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70 | parte prima |
dezza, una critica, o un’arguta espressione. Non starò qui a render conto di una ragazzata, che non ne merita la pena; trascriverò soltanto il distico del giorno di Pasqua, giacchè questa faceta espressione, ch’era forse una delle meno argute, fece un effetto mirabile, a motivo di essersi verificato il prognostico, e mi procurò sommi favori e molto gradimento. Eccovi in versi italiani la predizione:
In sì gran giorno una gentil contessa
Al parrucchier sacrifica la Messa.
Questa piccola operetta, qualunque fosse, mi divertì molto; poichè in tal tempo non vi erano in Venezia spettacoli, ed oltre a ciò le mie diverse occupazioni mi avevano impedito di pensarvi. Le critiche e le facezie del mio almanacco erano veramente del genere comico, ed ogni prognostico avrebbe potuto somministrare il soggetto di una commedia. Mi si risvegliò allora la brama di riprendere l’antica mia idea, e sbozzai qualche rappresentazione; ma riflettendo, che il genere comico non conveniva del tutto alla gravità della toga, credei più analoga al mio stato la maestà tragica, divenendo perciò infedele a Talia per seguire i vessilli di Melpomene.
Siccome nulla voglio nascondere al mio lettore, è necessario che io gli riveli un segreto. I miei affari andavano male, e mi trovavo dissestato (si vedrà speditamente il come ed il perchè): lo studio non mi fruttava nulla, ed avevo bisogno di trar profitto dal mio tempo. In Italia i guadagni della Commedia sono dell’ultima mediocrità per l’autore; non vi era che l’Opera, che potesse farmi avere cento zecchini in un tratto. Con questa mira composi una tragedia lirica intitolata Amalasunta. Credei di far bene, e trovai persone che mi parvero contente della medesima: è bensì vero, che non le avevo scelte tra gl’intendenti. Parlerò dunque di questa tragedia in musica in altra occasione. Ecco qua mio zio Indric, che viene a propormi una causa: bisogna sentirlo.
CAPITOLO XXV.
Mia prima arringa. — Mie avventure con una zia ed una nipote.
La causa che mio zio veniva a propormi era una contestazione proveniente da una servitù idraulica. Un mugnaio aveva comprato un filo d’acqua per dar moto ai suoi mulini, ed il proprietario della sorgente l’aveva deviata: si trattava dunque di ristabilire l’attore in tutti i suoi diritti, dei danni sofferti, ed ogni altro interesse. La città di Crema aveva preso parte e causa in favore del mugnaio. Esisteva un modello dimostrativo, ed erano nati processi verbali, fatti, violenze, ribellioni. La causa era mista di civile e criminale, e dovevano giudicarla gli Avogadori, magistratura autorevolissima, simile appunto a quella dei tribuni del popolo romano. Avevo per avvocato contrario il celebre Cordelina, l’uomo più dotto e più eloquente della curia di Venezia: egli doveva parlare il primo, ed io rispondere sul fatto senza scritti e meditazioni. Si dà l’appuntamento del giorno; ed io mi porto al tribunale della Avogarìa. Il mio avversario parla per un’ora e mezzo; lo ascolto, e non lo temo. Finita la sua arringa, do principio alla mia; procuro, mediante un patetico preambolo, di conciliarmi il favore del giudice. Era la prima volta che mi esponeva, e avevo bisogno d’indulgenza;