Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/154

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suo negozio, son tornato per dirlo al signor maestro, e non l’ho più ritrovato.

Ottavio. Io non vi ho più veduto.

Pantalone. Via, tolè sti bezzi; andeli a metter in quella camera e serrè la porta.

Lelio. Vi servo subito, (s’incammina in quella camera ov’è celato Florindo)

Ottavio. (Non vi fidate a dargli la borsa; la castrerà). (piano a Pantalone)

Pantalone. (El me l’ha portada elo, perchè no m’hoi da fidar?). (ad Ottavio)

Ottavio. (Piuttosto vi servirò io).

Pantalone. (No vôi che v’incomode).

Ottavio. (Ora trova Florindo e s’attaccano. Ma forse Florindo si nasconderà). (da sè)

Lelio. (Entra nella camera.)

Pantalone. Vedeu? Sempre pensè mal. Sempre mette mal de sto povero putto. V’ho pur sentio a dir tante volte, e a insegnar ai altri, che no bisogna far giudizi temerari. Che in fursi semo obligai a pensar al ben. Che de la zente bisogna parlar ben, che no bisogna metter i fioi in desgrazia del pare. Ma vu, caro sior maestro, fè pezo dei altri. Chi insegna le bone creanze, e no le pratica, compatime del paragon, fa giusto come i aseni, che i porta el vin e i beve l’acqua.

Ottavio. Ma se prendete le mie parole in sinitra parte, non parlerò più.

SCENA IX1.

Brighella e detti.

Brighella. Se la comanda che metta in tola, xe all’ordine.

Pantalone. Domandeghe a ela.

Brighella. A ela?

Pantalone. Sì ben, a ela.

Brighella. Mo la me compatissa. Chi ela mo sta ela?

  1. Manca nelle edd. Pasquali, Zatta ecc.