Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/146

Da Wikisource.
134 ATTO PRIMO

SCENA X1.

Camera della contessa Beatrice.

La Contessa Beatrice e la Baronessa Clarice.

Beatrice. Così è cara, cugina; oggi si aspetta mio figlio.

Clarice. È vero che vi è trattato di nozze fra lui e la marchesina Rosaura?

Beatrice. Sì; vi è questo trattato, ma non si concluderà.

Clarice. Per qual ragione? La Marchesina è nobile e ricca.

Beatrice. Non si concluderà, perchè ha preteso di voler fare questo partito2 il Conte mio cognato.

Clarice. Come zio del Contino, lo doveva fare.

Beatrice. Lo doveva fare? Cugina, ve ne intendete poco. Io sono la madre di Florindo: a me tocca a trovargli3 una sposa; e se ha da venire una nuora in questa casa, io l’ho da sapere prima d’ogni altro.

Clarice. Cara cugina, perdonatemi, se vi parlo con libertà. Non vi piccate di ciò, mentre il conte Ottavio è un cavaliere prudente; e quello che ha fatto, l’avrà fatto per utile della famiglia.

Beatrice. Mio cognato è un uomo prudente? È uno scialacquatore, un prodigo, che rovina la casa e precipita suo nipote.

Clarice. Tutto Napoli lo decanta per uomo savio.

Beatrice. Tutti non sanno quel che so io. Le rendite della nostra casa non possono mantenere quei magnifici trattamenti, quelle grandiose spese ch’egli è solito a fare.

Clarice. Ma che vorreste dire perciò?

Beatrice. Ch’egli intacca i capitali.

Clarice. Non ha venduto alcuno stabile.

Beatrice. Voglio che mi dia la mia dote.

Clarice. Non si sa ch’egli abbia debiti.

Beatrice. Quando arriva Florindo, ha da render conto della sua amministrazione.

  1. Sc. XII nell’ed. Bett.
  2. Bett.: di voler trattare il partito.
  3. Bett.: tocca ritrovargli.