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192 ATTO SECONDO



che se avesse da far la tombolaa, la faria più tosto con questa che con un’altra, ma per adesso no me voggio ligar.

Eleonora. Bene obbligata, signor Momolo, della finezza.

Momolo. El xe mio debito, patrona. Me parerà ve de mancar al mio dover, se capitando da so sior padre, no cercasse de reverirla.

Eleonora. Per altro, se non era per venir da mio padre, io non potea sperare di rivedervi.

Momolo. Basta un so comando per farme vegnir de zorno, de notte, e da tutte le ore.

Eleonora. Eh, so che voi non perdete il vostro tempo sì male.

Momolo. Anzi l’impiegherave benissimo, se me fosse lecito de incomodarla più spesso.

Eleonora. E ch’è1, che v’impedisca di favorirmi?

Momolo. La vede ben, so sior padre so che el me vede volentiera, ma se mi abusasse della so bona grazia, el se poderia insospettir.

Eleonora. Mio padre anzi non fa che parlar di voi; vi vorrebbe sempre con lui, con me, padrone di questa casa.

Momolo. Se credesse sta cossa, me saveria profittar.

Eleonora. Quand’io ve la dico, la potete credere.

Momolo. Donca, siora Eleonora, se la me permette, vegnirò la sera a star con ela un per de ore almanco.

Eleonora. Due ore sole?

Momolo. Anca più, se la vol.

Eleonora. E non istareste meco per sempre?

Momolo. Sto sempre me dà un pochettin da pensar.

Eleonora. Deggio confessare, che voi avete molto più giudizio di me. Dove si è inteso mai, che una figlia civile parlasse con sì poca prudenza, com’io vi parlo? Non vi formalizzate per questo. Compatite in me la passione che mi fa parlare.

Momolo. Adesso mo la me fa vegnir rosso, da galantomo.

  1. Capitombolo qui vuol dire nel laccio
  1. Ed. Savioli: E chi è.