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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/403

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LA BANCAROTTA 349


SCENA IV.

Truffaldino, poi Smeraldina dalla sua casa.

Truffaldino. Ecco qua. In tutti i mistieri ghe vol fortuna.

Smeraldina. Caro signor Truffaldino, che vuol dire che sono tanti giorni che non ci vediamo?

Truffaldino. Bondì, Smeraldina. L’è un pezzo che no se vedemo, perchè in casa del patron gh’è dei guai, delle disgrazie, e no i me lassa un’ora de libertà.

Smeraldina. Eh, bricconcello, lo so perchè ti vai scordando di me. Avrai qualche novella pratica, che ti svierà dalla tua Smeraldina.

Truffaldino. No, da putto onorato.

Smeraldina. Zitto, non bestemmiare. Dimmi un poco, che interessi hai a quella locanda?

Truffaldino. Te dirò la verità. Ho portà una lettera del patron vecchio a una forestiera.

Smeraldina. Sì, sì, la conosco. So che quel pazzo di Pantalone spende a rotta di collo con quella cara signora Clarice, e gareggia con tanti altri, che sono pazzi al pari di lui, a coltivare una donna di quel carattere. Ma è possibile che ad onta delle sue disgrazie, che oramai sono pubbliche per tutta Venezia, voglia il tuo padrone continuare a spendere e a rovinarsi del tutto?

Truffaldino. No gh’è pericolo che el se rovina de più, perchè l’è rovinà fin all’osso. Anzi, per dirtela in confidenza, perchè so che ti è una donna de garbo, che no parla con nissun...

Smeraldina. Oh, non vi è pericolo.

Truffaldino. Sior Pantalon, oltre quel che l’ha donà a sta siora Clarice, el gh’ha imprestà trenta zecchini, e adesso che l’è in bisogno, el la prega de volergheli restituir.

Smeraldina. Oh, è diffìcile che li restituisca.

Truffaldino. Perchè?

Smeraldina. I danari che si prestano a certe signore, colle quali passano degli amoretti, bisogna far conto di averli donati.