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LA DONNA DI GARBO | 485 |
Rosaura. Via, siate tolleranti1, compatitevi l’un l’altro; tu, Brighella, che hai più giudizio, soffri la semplicità di costui. Andate a preparare i rinfreschi; indi portate qui in questa sala tutto ciò che ordinovvi il padrone.
Brighella. Come vaia col sior Florindo? Possio sperar gnente dal vostro amor? (piano a Rosaura)
Rosaura. Puoi sperar molto. Conservami la tua fede. (piano a Brighella)
Brighella. Oh magari! (Bondì, cara).
Rosaura. (Addio, Brighelluccio mio). (Brighella parte)
Arlecchino. T’ho aspettà tutta sta notte.
Rosaura. Per qual cagione?
Arlecchino. No ti te arecordi più della polvere d’oro, dei circoli, delle linee, e de quei quattro bocconi in t’una forzinada?
Rosaura. Ah sì, mi risovviene benissimo. La venuta di questi forestieri mi ha impedito venirti a ritrovare: un’altra volta.
Arlecchino. T’aspetto sta sera.
Rosaura. Senz’altro.
Arlecchino. El Ciel l’ha mandada per la consolazion delle mie budelle. (parte)
SCENA IV.
Rosaura, poi il Dottore.
Rosaura. Conviene che io mi conservi l’amor di costoro. Non so che cosa mi possa succedere; ma ecco il padrone, diasi l’ultima mano al lavoro. Non lo sposerei per tutto l’oro del mondo; ma devo fingere per tormento del mio crudele Florindo.
Dottore. Mi parve sentir Brighella ed Arlecchino gridar insieme. Non ho voluto venire, per non alterarmi; che c’è stato2? Ditemelo voi, la mia cara Rosaura.
Rosaura. Eh niente, niente, signore, una piccola contesa3; ma io l’ho accomodata.