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IL SERVITORE DI DUE PADRONI 599


(leva li abiti da tutti due li bauli e li posa sul tavolino, avvertendo che in ciaschedun baule vi sia un abito di panno nero, dei libri e delle scritture, e altre cose a piacere) Voio un pò veder, se gh’è niente in te le scarselle. Delle volte i ghe mette dei bozzolai, dei confetti. (visita le tasche del vestito nero di Beatrice, e vi trova un ritratto) Oh bello! Che bel ritratto! Che bell’omo! De chi sarai sto ritratto? L’è un’idea, che me par de cognosser, e no me l’arecordo. El ghe someia un tantinin all’alter me patron; ma no, noi gh’ha ne sto abito, nè sta perucca.

SCENA II.

Florindo nella sua camera, e detto.

Florindo. Truffaldino. (chiamandolo dalla camera)

Truffaldino. O sia maledetto! El s’ha sveià. Se el diavol fa che el vegna fora, e el veda st’alter baul, el vorrà saver... Presto, presto lo serrerò; e dirò che non so de chi el sia. (va riponendo le robe)

Florindo. Truffaldino. (come sopra)

Truffaldino. La servo. (risponde forte) Che metta via la roba. Ma! No me recordo ben sto abito dove che el vada. E ste carte no me recordo dove che le fusse.

Florindo. Vieni, o vengo a prenderti con un bastone? (come sopra)

Truffaldino. Vengo subito. (forte come sopra) Presto, avanti che el vegna. Co l’anderà fora de casa, giusterò tutto. (mette le robe a caso nei due bauli, e li serra)

Florindo. (esce dalla sua stanza in veste da camera) Che cosa diavolo fai?

Truffaldino. Caro signor, no m’hala dito che repulissa i panni? Era qua che fava l’obbligo mio.

Florindo. E quell’altro baule di chi è?

Truffaldino. No so gnente; el sarà d’un altro forestier.

Florindo. Dammi il vestito nero.

Truffaldino. La servo. (apre il baule di Florindo, e gli dà il suo vestito nero; Florindo si fa levare la veste da camera, e si pone il vestito; poi, mettendo le mani in tasca, trova il ritratto.)