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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/675

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IL SERVITORE DI DUE PADRONI 617


Clarice. Sì, moltissima.

Silvio. E di me?

Clarice. Ah crudele1!

Pantalone. Sentiu che parole amorose? (al Dottore)

Dottore. Mio figliuolo poi ha maniera. (a Pantalone)

Pantalone. Mia fia, poverazza, la xe de bon cuor. (al Dottore)

Smeraldina. Eh, tutti due sanno fare la loro parte.

SCENA XV.

Beatrice e detti.

Beatrice. Signori, eccomi qui a chiedervi scusa, a domandarvi perdono, se per cagione mia aveste dei disturbi...

Clarice. Niente, amica, venite qui. (l’abbraccia)

Silvio. Ehi? (mostrando dispiacere di quell’abbraccio)

Beatrice. Come! Nemmeno una donna? (verso Silvio)

Silvio. (Quegli abiti ancora mi fanno specie). (da sè)

Pantalone. Andè là, siora Beatrice, che per esser donna e per esser zovene, gh’avè un bel coraggio.

Dottore. Troppo spirito, padrona mia. (a Beatrice)

Beatrice. Amore fa fare delle grandi cose.

Pantalone. I s’ha trovà, ne vero, col so moroso? Me xe stà contà.

Beatrice. Sì, il cielo mi ha consolata.

Dottore. Bella riputazione! (a Beatrice)

Beatrice. Signore, voi non c’entrate nei fatti miei. (al Dottore)

Silvio. Caro signor padre, lasciate che tutti facciano il fatto loro; non vi prendete di tai fastidi. Ora che sono contento io, vorrei che tutto il mondo godesse. Vi sono altri matrimoni da fare? Si facciano.

Smeraldina. Ehi, signore, vi sarebbe il mio. (a Silvio)

Silvio. Con chi?

Smeraldina. Col primo che viene.


  1. Paper., Savioli ecc.: Ah briccone.