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I DUE GEMELLI VENEZIANI 99

Pancrazio. Che mai, che mai! Palesatemi il tutto con libertà. Già in me vi potete sicuramente fidare.

Rosaura. Ve lo dirò, signore: sapete già che mio padre mi ha destinata in isposa ad un Veneziano.

Pancrazio. (Così non lo sapessi!) (da sé)

Rosaura. Saprete ancora ch’egli, partitosi da Bergamo, oggi è arrivato in questa città.

Pancrazio. (Così si fosse rotto l’osso del collo). (da sé)

Rosaura. Ora sappiate che costui è uno sciocco, ma però temerario.

Pancrazio. La temerità è propria di gente sciocca.

Rosaura. Mio padre mi fece subito abboccare con esso lui.

Pancrazio. Male.

Rosaura. Poi seco lui ancora mi lasciò sola.

Pancrazio. Peggio.

Rosaura. Ed egli...

Pancrazio. Già me l’immagino.

Rosaura. Ed egli con parole indecenti...

Pancrazio. Ed anco tenere, non è così?

Rosaura. Sì, signore.

Pancrazio. E con qualche atto immodesto?

Rosaura. Per l’appunto.

Pancrazio. Seguite; che avvenne?

Rosaura. Mi provocò a segno ch’io gli diedi uno schiaffo.

Pancrazio. Oh, brava, oh saggia, oh esemplare fanciulla! oh degna d’esser descritta nel catalogo dell’eroine del nostro secolo! Non ho lingua bastante per lodare la savia risoluzione del vostro spirito. Così si trattano cotesti insolenti; così si mortificano questi irriverenti del sesso. Oh mano eroica, oh mano illustre e gloriosa! Lasciate che per riverenza ed ammirazione imprima un bacio su quella mano, che merita gli applausi del mondo tutto. (le prende la mano, e la bacia teneramente)

Rosaura. Merita dunque la vostra approvazione quest’atto del mio risentimento?

Pancrazio. Pensate! e in che modo! Al giorno d’oggi è un prodigio trovar una giovane, che per modestia dia uno schiaffo ad un