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154 ATTO TERZO

Gange, prima de ceder le belle1 bellezze della mia bella. (Siestu maledio, che el me fa deventar matto anca mi). (da sè)

Lelio. Voi mi uccidete.

Tonino. Vi sarà un pazzo di meno.

Lelio. Ah ingrato!

Tonino. Ah scortese!

Lelio. Ah tiranno!

Tonino. Ah matto maledetto!

Lelio. Ma se il mio amore in furia si converte, tremerete al mio furore.

Tonino. Sarò qual impenetrabile scoglio agl’infocati dardi della vostra furibonda bestialità.

Lelio. Vado...

Tonino. Andè.

Lelio. Vado...

Tonino. Mo andè.

Lelio. Vado, crudele...

Tonino. Mo andè, che ve mando.

Lelio. Vado, sì, vado a meditar vendette, pria che il sole nasconda in mare i rai. (parte)

SCENA VIII.

Tonino, poi Pancrazio e Brighella.

Tonino. Chi nasse matto, no varissea mai. Oh che bestia! oh che bestia! Se pol sentir de pezo? Se el stava troppo, el me fava deventar matto anca mi. Veramente a sto mondo tutti gh’avemo el nostro rametto, e chi crede d’esser savio, xe più matto dei altri. Ma costù l’è matto coi fiocchi.

Pancrazio. Andiamo, andiamo dal giudice. Voi sarete testimonio della mia innocenza. (a Brighella)

  1. Varisse, guarisce.
  1. Zatta: rare.