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I DUE GEMELLI VENEZIANI 177


nel caso della di lei morte, il testamento sostituiva nell’eredità stessa un mio nipote. Mancata la figlia, per non perdere un patrimonio sì ricco, pensai di supporre alla morta Rosaura un’altra fanciulla: opportunamente mi venne questa alle mani, e coll’aiuto della balia, madre di Colombina, mi riuscì agevole il cambio. Ora, scoperto il disegno, non tarderà mio nipote a spogliarmi dell’eredità ed a voler ragione de’ frutti sino ad ora malamente percetti.

Tonino. Ma chi xelo sto vostro nevodo?

Dottore. Un certo Lelio, figlio d’una sorella del testatore e mia.

Tonino. Elo quel sior cargadura, che dise d’esser conte e marchese?

Dottore. Appunto quegli.

Tonino. Velo qua che el vien. Lasse far a mi e no ve dubitè gnente.

SCENA XXVII.

Lelio e detti.

Lelio. Alto, alto quanti siete! guardatevi da un disperato.

Tonino. Forti, sior Lelio, che al mal fatto no gh’è remedio. Beatrice xe mia muggier.

Lelio. Sconvolgerò gli abissi. Porrò sossopra il mondo.

Tonino. Mo perchè vorla far tanto mal?

Lelio. Perchè son disperato.

Tonino. Ghe sarave un remedio.

Lelio. E quale?

Tonino. Sposar la siora Rosaura co quindese mille ducati de dota e altrettanti dopo la morte del sior Dottor.

Lelio. Trenta mila ducati di dote? La proposizione non mi dispiace.

Tonino. E la putta ghe piasela?

Lelio. A chi non piacerebbe? Trenta mila ducati formano una rara bellezza.

Tonino. No occorre altro e se farà tutto: qua in strada no stemo