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236 ATTO SECONDO


no gh’ha respetto per i so patroni? Imparè; perchè ve vogio ben, perchè fazzo stima de vu, v’ho dà sta sodisfazion. Doveressi mo adesso anca vu far l’istesso verso de mi, e licenziar de sta casa Colombina e Arlecchin, che con tanta temerità i tratta co mi, come se fusse el gastaldoa, e no i me considera per quel che son.

Beatrice. Quanto a questo poi, Colombina e Arlecchino fanno il mio servizio; a voi non so che abbiano perduto il rispetto, e non mi sento di licenziarli.

Pantalone. Benissimo; imparerò a mie spese. Un’altra volta me saverò regolar. Ma Colombina e Arlecchin...

Beatrice. Ma Colombina e Arlecchino ci staranno a vostro dispetto. Già v’eravate ingegnato di fìngere la malattia della gastalda per far partir Colombina, ma si è scoperto il vero, e siete restato deluso.

Pantalone. Fia mia, no me vogio scaldar el sangue. Questo xe un negozio, del qual ghe ne parleremo a so tempo.

Beatrice. Oh via, mutiamo discorso. Mi rallegro, signor Pantalone, che avete fatta sposa la vostra figliuola.

Pantalone. (No la sa gnente che l’amigo se l’ha battua). (da sè) Cossa voleu far? Xe meggio cussì. L’anderà fora de casa, e vu sarè libera de sto intrigo.

Beatrice. Avete fatti gli abiti a questa sposa? (ridendo)

Pantalone. Ho ordinato el bisogno per far le cosse pulito.

Beatrice. E quando seguiranno questi sponsali?

Pantalone. Oh presto, presto.

Beatrice. Quanto mi vien da ridere!

Pantalone. Perchè ve vien da rider? (Stè a veder che la sa tutto). (da sè)

Beatrice. E si fa un matrimonio in casa, senza che io ne sappia nulla? Bravo, così mi piace.

Pantalone. L’occasion ha portà cussì. Ringraziè quella desgraziada della vostra cameriera, e preghè el cielo che la se fenissa cussì.

  1. Gastaldo, custode della casa di campagna.