Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/286

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278 ATTO TERZO

Beatrice. È vero, prima che fossi arrestata.

Ottavio. Signora Diana, voi mi vedete cambiato per opera dello sviscerato amor di mio padre; sappiate che il mio cambiamento è universale, e che mi trovo costretto a sagrificare all’obbedienza giurata al mio genitore anche l’amore che aveva per voi.

Diana. Pazienza! Confesso non esser degna di un tanto bene, e compatisco lo stato in cui vi trovate.

Pantalone. Ah caro fio! (E pur quella poverazza me fa peccà). (da sè)

SCENA ULTIMA.

Lelio e detti.

Lelio. Giacchè la sorte mi fece a parte dei vostri contenti, non voglio lasciare di consolarmi con voi, mio veneratissimo signor Pantalone.

Pantalone. Anca ela? Come?

Lelio. Anch’io fui qui chiamato dalla signora Beatrice.

Beatrice. Pur troppo è vero; ma ora comincio ad aborrire il mio passato costume.

Pantalone. (Me despiase che sta zente ha sentio tutto, e no vorave che i parlasse; bisogna obbligarli). (da sè) Sior Lelio e siora Diana, in segno de quella stima che fazzo de lori, ghe vorave proponer un mio pensier, ma vorave mo anca che i se degnasse de accettar el mio bon cuor, senza rimproverarme de troppo ardir.

Diana. Io dipenderò da’ vostri voleri.

Lelio. Sarò pronto esecutore de’ vostri comandi.

Pantalone. Siora Diana, me togo la libertà de offerirghe sie mille ducati, acciò la se trova un mario adatta alla so condizion; e se sior Lelio xe contento, pregherò siora Diana che a elo, co la dota, la ghe daga la man e el cuor. Cossa dixeli?

Diana. Io son contenta. (Altro non cercava che di maritarmi). da sè)

Lelio. Ed io mi chiamo felice. (Sei mila ducati non si trovano così facilmente). (da sè)