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LA VEDOVA SCALTRA 343

Alvaro. Hai ragione; non me ne ricordava. Mi hai servito bene, devo ricompensarti. Tu hai portato un tesoro a donna Rosaura; ecco un tesoretto anche per te. (gli dà un foglio piegato)

Arlecchino. Che è questo?

Alvaro. Questa è una patente di mio servitore. (parte)

Arlecchino. Ah maledettissimo! A mi sto tesoretto? Cussì se burla i poveri galantomeni? Ma me vôi vendicar. Certo, certo qualche vendetta vôi far. Ma l’è qua el Francese; presto presto, che noi me veda; che se el Spagnol m’ha burlado, questo fursi me refferà. (parte)

SCENA XXI.

Monsieur le Blau guardandosi in uno specchietto, poi Arlecchino vestito alla francese.

Monsieur. Eppure questa parrucca non mi pare accomodata a dovere. Questo riccio non vuol riposarsi bene sopra quest’altro. La parte dritta mi sembra un taglio di temperino più lunga della sinistra. Ah, converrà ch’io dia il congedo al mio parrucchiere, e ne faccia venir uno di Parigi. Qui non sanno pettinare una parrucca. E questi calzolai non si possono soffrire. Hanno il vizio di fare le scarpe larghe, e non sanno che non è ben calzato, chi non si sente stroppiare. Ah gran Parigi! gran Parigi! (Arlecchino fa molte riverenze ed inchini caricati a Monsieur Monsieur). Bravo, bravo; ti porti bene. Sei stato da Madama?

Arlecchino. Sono stato. Ah, non ci fossi stato!

Monsieur. Perchè di’ tu questo?

Arlecchino. Che bellezza! Che grazia! Che occhi! Che naso! Che bocca! Che senato! (con affettazione)

Monsieur. (Costui pare sia stato a Parigi. Questo è il difetto de’ nostri servitori. S’innamorano anch’essi delle nostre belle). (da sè) Presentasti il ritratto?

Arlecchino. Lo presentai; ed essa lo strinse teneramente al seno.

Monsieur. Ah taci, che mi fai liquefar di dolcezza.

Arlecchino. Non si saziava di mirarlo e baciarlo.