Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/190

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Pantalone. Siora sì; la lo saluda.

Rosaura. Addio, caro.

Florindo. Poverina! Addio.

Rosaura. Ah! Che sposalizio infelice! (parte con uomini armali)

Pantalone. Animo, a vu sior, la nave v’aspetta. (a Florindo)

Florindo. Caro signor padre....

Pantalone. No gh’è nè pare, nè mare. Destrigheve e andè a bordo. Ve manderò el vostro bisogno.

Florindo. Pazienza! Maledetti vizi. Maledetto il maestro che me li ha insegnati. Ah mia madre, che me li ha comportati! Ella è cagione della mia rovina.

SCENA ULTIMA.

Beatrice e detti, poi Arlecchino.

Beatrice. È qui mio figlio? È qui?

Pantalone. Siora sì, vegnì giusto a tempo de sentirlo a dir ben de vu.

Beatrice. Sei pentito? Mi vuoi chieder perdono?

Florindo. Che perdono? Di che vi ho da chieder perdono? Di quello che ho fatto per vostra cagione? Ora conosco il bene che mi avete voluto. Ora comprendo che son precipitato per causa vostra. Non mi avete fatta una correzione, non mi avete gridato una sol volta. Vado sopra una nave, non mi vedrete mai più; e se vi dispiace restar priva di me, e se volete in mia vece una compagnia, vi lascio il perpetuo rimorso d’aver per troppo amore rovinato un figliuolo. (parte con gli uomini armati)

Pantalone. Bevè sto siroppetto.

Beatrice. Ah sì, son rea, lo confesso, ma siccome il mio delitto è provenuto da amore, non credeva avesse a rimproverarmene il figlio stesso, che ho troppo amato.

Pantalone. Mo la va cussì. I fioi medesimi xe i primi a rimproverar el pare e la mare, quando i li ha mal arlevai.