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Rodrigo. Donna Eleonora, questa ch’io vi parlo forse è l’ultima volta. Deh, permettetemi ch’io vi parli con libertà.

Eleonora. Oimè! Perchè l’ultima volta?

Rodrigo. Non è più tempo di celarvi un arcano finora con tanta gelosia nel mio cuor custodito. Vi amo, donna Eleonora, vi amo, sì, lo confesso, ed è sì grande l’amor ch’io vi porto, che oramai non è bastante a superarlo la mia virtù. Finchè voi foste moglie, malgrado le violenze dell’amor mio, frenai colla ragione l’affetto; ora che siete libera e che potrei formare qualche disegno sopra l’acquisto della vostra bellezza, più non mi fido dell’usata mia resistenza, nè trovo altro riparo alla mia debolezza che il separarmi per sempre dall’adorabile aspetto vostro.

Eleonora. Don Rodrigo, mi sorprende non poco la dichiarazione dell’amor vostro, perchè so di non meritarlo. La bontà che voi dimostrate per me, esige in ricompensa una confidenza ch’io ad onta del mio rossore son costretta di farvi. Sì, don Rodrigo, vi amo anch’io pur troppo, e se mi credeste insensibile alle dolci maniere vostre, v’ingannaste di molto. So io quanto mi costa la dura pena di superare me stessa, e poco mancò che nei conflitti dell’interne passioni non restasse soccombente la mia virtù.

Rodrigo. Ecco un nuovo stimolo all’intrapresa risoluzione. Donna Eleonora, noi non siamo più due virtuosi soggetti, che possano trattarsi senza passione ed ammirarsi senza pericolo. Il nostro linguaggio ha mutato frase, i nostri cuori principierebbero ad uniformarsi alla corruttela del secolo. Rimediamoci, sinchè vi è tempo.

Eleonora. E non sapete propone altro rimedio che quello di una sì dolorosa separazione? Veramente lo stato miserabile in cui mi trovo, la mia povera condizione, i miei numerosi difetti, non mi possono lusingare di più.

Rodrigo. V’intendo, donna Eleonora, con ragione mi rimproverate che io non preferisca al mio allontanamento le vostre nozze. Se io vi sposassi ora che siete vedova, direbbe il mondo che