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LA FAMIGLIA DELL'ANTIQUARIO 377

Dottore. Rispondo per la signora Contessa. Se vuole andare, se ne vada; ma prima s’ha da levare la dote della suocera, e poi quella della nuora.

Cavaliere. Facciamo così: che la signora Isabella dia il maneggio alla nuora di quattrocento scudi l’anno, e penserà ella alle spese per sè e per la cameriera.

Dottore. Con licenza, ora torno. (va da Isabella, poi torna)

Cavaliere. Non può risolvere. Anch’egli ha lo stesso arbitrio che ho io. Questa sarebbe la meglio. Ognun pensar per sè.

Dottore. (Ritorna dall’appartamento d’Isabella) Quattrocento scudi non si possono accordare. Se n’accorderanno trecento.

Cavaliere. Attendetemi, che ora1 vengo. (va da Doralice)

Dottore. È plenipotenzario anch’egli, come sono io.

Pantalone. (Esce dalla porta di mezzo) Sior Dottor, la riverisse. (incamminandosi verso l’appartamento di Doralice)

Dottore. Dove, signor Pantalone?

Pantalone. Da mia fia.

Dottore. Ora si tratta l’aggiustamento fra lei e la suocera.

Pantalone. E chi lo tratta sto aggiustamento?

Dottore. Per la sua parte il Cavaliere del Bosco.

Pantalone. Come gh’intrelo sto sior Cavalier?

Cavaliere. (Ritorna dall’appartamento di Doralice) L’aggiustamento è fatto.

Pantalone. Sì? come, cara ela?

Anselmo. (Esce dalla porta di mezzo.)

Dottore. Signor Conte, l’aggiustamento è fatto.

Anselmo. Ne godo, ne godo; e come?

Cavaliere. La signora Doralice si contenta di trecento scudi l’anno.

Dottore. E la signora contessa Isabella glieli accorda.

Pantalone. Xela matta mia fia? Adesso mo. (va da Doralice, poi torna)

Anselmo. È spiritata mia moglie; ora mi sentirà. (va da Isabella)

Cavaliere. Questi vecchi vogliono guastare il nostro maneggio. (al Dottore)

  1. Zatta: or ora.