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L'AVVOCATO VENEZIANO 459

Alberto. La compatissa. Stamattina son fora de mi.

Beatrice. Sedete là, signora Rosaura; io sederò qui e il signor Alberto nel mezzo.

Alberto. (Se vien sior Florindo, stago da frizer). (da sè) Sentì, quel zovene. (piano al servitore) (Se vegnisse el sior Florindo, e che ghe fusse qua ste do zentildonnne, avanti de farlo passar, avviseme).

Beatrice. (Ehi, ci siamo intesi, quando vi fo cenno, chiamatemi; vi sarà la mancia). (piano al servitore)

Servitore. (Sarà servita). (piano a Beatrice e parte; poi torna)

Beatrice. Via, sedete, signor avvocato. (lo fa sedere in mezzo)

Rosaura. Se vi dà fastidio la mia vicinanza, mi tirerò più in qua.

Alberto. Mo no, la staga pur salda. (Me vien caldo e freddo tutto in una volta). (da sè) E cussì, cossa m’hala da comandar? (a Beatrice)

Beatrice. Io non intendo di comandare, ma di pregarvi.

Alberto. In quel che posso, sarò pronto a servirla.

Beatrice. Vi prego per quella povera sventurata.

Alberto. Mo cara ela, cossa ghe posso far?

Beatrice. Tutto potete, se di lei vi movete a pietà.

Alberto. Più che ghe penso, e manco me vedo in stato de poder far gnente per ela.

Beatrice. Dite che siete ostinato nel volerla vedere precipitata.

Rosaura. Eh via, signora Beatrice, non gettate invano il tempo e la fatica. Il signor Alberto ha dell’avversione per me, ed è superfluo sperare aiuto da una persona che mi odia.

Alberto. No, siora Rosaura, no la odio, no gh’ho dell’avversion per ela; ma son in necessità de defender el so avversario.

Beatrice. Perchè siete in questa necessità?

Alberto. Perchè per mia disgrazia l’ho cognossù avanti de siora Rosaura, e me son impegnà de defenderlo prima d’aver visto le bellezze dell’avversaria.

Beatrice. Dunque se prima aveste veduto la signora Rosaura, avreste difesa lei e non il signor Florindo?