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NOTA STORICA


Contro la giustizia maltrattata insorse in tutti i secoli il teatro, manifestazione della coscienza popolare, involgendo nella sua satira gli uomini di legge d’ogni fatta, giudici, notari, avvocati, procuratori. Basterà ricordare, nei tempi men lontani dal Goldoni, il Teatro Italiano in Francia (Arlequin Grapignan ecc.). Più di recente G. B. Fagiuoli fiorentino, che fu più volte degli Otto di Balia e dei Nove nel granducato di Cosimo III, sollazzò i concittadini con la caricatura di ser Arruffino Viluppi da Scorticalasino (Le Differenze aggiustate) e del dottor Bartolo Somarini (L’Amante esperimentato); e a Verona il Becelli, nella commedia letteraria, strinse in caro nodo Celio avvocato e Fabio procuratore a ingannare il prossimo (L’Ingiusta donazione, 1741). Lo stesso Goldoni adattò nel Cavaliere e la Dama la vecchia maschera del Dottor Balanzoni all’odioso carattere del procurator Buonatesta, e nell’Avvocato (detto poi nella stampa veneziano) derise l’ignoranza del Lettore. Ma da figlio affezionato alla Repubblica di S. Marco, la quale con ammirazione degli stranieri rendeva giustizia al più umile dei sudditi e vantò per tutto il Settecento i suoi giureconsulti, rispettò sempre il severo ufficio del Giudice e alzò un inno all’avvocato veneziano.

La presente commedia fu recitata la prima volta con grande applauso a Venezia, sul teatro di S. Angelo, nel secondo anno della riforma e propriamente nel carnovale (1751): leggesi qualche notizia nella prefazione innanzi alla stampa e nel cap. 13, P. II, dei MémoiresMemorie di Carlo Goldoni. Cesare D’Arbes, per il quale era stata scritta, sosteneva egregiamente la parte di Alberto, e dopo la partenza del bravo pantalone, vi si distinse il Collalto, chiamato in suo luogo nella compagnia Medebach (vedi sc. 4, A. I, del Teatro comico e note al poemetto Della vera commedia, Ven. 1755, di P. Verri). E infatti non è difficile ritrovare sotto l’abito più serio dell’avvocato Casaboni qualche reminiscenza di Momolo cortesan (Uomo di mondo), sia nel duello col conte Ottavio (A. II, sc. 1) sia nell’affetto profondo alla sua Venezia (A. II, sc. I), sia in altri accenni; mentre più spesso, perfino nell’arringa davanti al giudice, ci rimembra, un po’ ringiovanito, il pantalone goldoniano della Putta onor. e della Buona moglie, dell’Uomo prud., del Padre di fam., dell’Antiquario: nel qual personaggio sembra che l’autore abbia più volentieri versato qualche parte della propria anima e l’insegnamento morale della commedia.

Racconta il dottor Carlo nelle memorie scritte per l’ed. Pasquali (vedi vol. I della presente edizione, p. 60) come fin dal 1733, laureato appena, proponesse per esercizio nell’accademia del dott. Ortolani il caso stesso disteso tanti anni dopo nella commedia, e come toccasse a lui «difender la giovine e sostenere la donazione». Un vero maestro, A. Pascolato, che ricercò i ricordi del foro nel teatro di Goldoni, ebbe a dichiarare che «l’arringa del Balanzoni, tuttochè difenda una cattiva causa, non è punto volgare e spregievole, e domanda salda dottrina giuridica e buon uso di logica in chi deve confutarla»; e non lasciò di lodare la finezza, lo spirito, la misura con cui Alberto, applicando i precetti esposti nella sc. 1 dell’A. I, riesce nell’atto terzo a parare «ad uno ad uno tutti i colpi dell’avversario». E concluse: «Tutti i requisiti