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160 ATTO SECONDO

Rosaura. Un affronto al mio staffiere?

Florindo. Vostro danno. Impacciatevi con gente par vostra.

Rosaura. E voi ve la passate così placidamente?

Florindo. E che volete ch’io faccia? La dama ha ragione. Quando le volevate fare una scusa, non conveniva mandare uno staffiere.

Rosaura. E chi aveva da mandare, se voi avete licenziato il cameriere?

Florindo. L’ho licenziato stamattina, quando aveva risoluto di andarmene1.

Onofrio. Florindo, venite o non venite?

Florindo. Caro signor Conte, compatitemi, ho sempre di questi maledetti imbarazzi.

Onofrio. Se non vuol venir ella, almeno venite voi.

Florindo. Volete usare questa mala creanza al signor Conte? Non volete venire a tavola?

Rosaura. Il signor Conte mi dispenserà.

Onofrio. Sì, vi dispenso. Anche voi, Florindo, se volete restare, restate; basta ch’io lo sappia; del resto mangerò anche solo, quando si tratta di compiacervi.

Rosaura. Signor Conte, favorite di mandarmi il moro.

Onofrio. Subito ve lo mando. (Oh che cappone! Ha tanto di lardo). (parte)

Florindo. Che cosa volete fare del moro?

Rosaura. Voglio mandarlo a far le mie scuse colla contessa Eleonora.

Florindo. Fareste peggio.

Rosaura. Il moro non è staffiere.

Florindo. È un servitore, è uno schiavo e un buffone.

Rosaura. Dunque andateci voi.

Florindo. Io non vi anderei, se mi deste mille zecchini.

Rosaura. Dunque vi anderò io.

Florindo. A buon viaggio.

Rosaura. E se poi non mi ricevesse?

Brighella2. Lustrissima, el conte Lelio.

  1. Segue in Bett.: «Ros. Dunque andateci voi ecc.».
  2. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XIV.