Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/203

Da Wikisource.

195

Rosaura. Come? a me un affronto di questa sorte?

Beatrice. L’affronto lo ricevo io, e lo ricevo per causa vostra.

Florindo. Andiamo, andiamo, me ne farò render conto.

Beatrice. Da chi ve ne farete render conto?

Florindo. Da quel scrocco di vostro marito. (via)

Beatrice. Sia maledetto quando vi ho conosciuto.

Rosaura. Da una dama della vostra sorte non potevo sperar di meglio. (via)

Beatrice. Un affronto di questa sorte alla mia casa? Come mai risarcirlo? Non si parlerà d’altro per i caffè. Sarò io la favola di Firenze.


ATTO TERZO.

SCENA VIII1.

Lacchè di Rosaura dal casino. Florindo e detto.

Lacchè. Ho inteso, ho inteso. Tutte le dame sono al casino. Vado subito dalla padrona. (Bravi lo bastonano, e partono) Ahi, aiuto; ahimè, son morto. (cade in terra)

Florindo. O Brighella non è ancora qui capitato, o l’ordine è già corso. Parmi veder un uomo disteso in terra.

Lacchè. Ahi, povero me!

Florindo. Fosse mai uno de’ servidori, che ho fatto bastonare? Me ne dispiacerebbe infinitamente. Galantuomo, chi siete?

Lacchè. Ahi, le mie braccia. (s’alza)

Florindo. Lacchè, sei tu?

Lacchè. Pur troppo son io.

Florindo. Oh povero sventurato! Dimmi, sei forse stato bastonato?

Lacchè. Venivo dal casino, andavo dalla padrona a portarle la risposta, e mi hanno bastonato.

Florindo. (Ora capisco). Il povero diavolo è uscito dal casino,

  1. Così nell’ed. Bettinelli. Vedi scene VII e VIII di questa edizione, pp. 179-180.