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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 225

Don Marzio. Potevate portarmi i dieci che vi ho prestati.

Eugenio. Via, non mi mortificate più; ve li darò i vostri dieci zecchini.

Ridolfo. (Col tabarro e cappello, dalla sua bottega) Il signor Conte si è addormentato colla testa sul tavolino. Intanto vado a veder di far quel servizio. Se si risveglia, ho lasciato l’ordine al giovane, che gli dica il bisogno. V. S. non si parta di qui.

Eugenio. Vi aspetto in questo luogo medesimo.

Ridolfo. (Questo tabarro è vecchio; ora è il tempo di farmene un nuovo a ufo). (da sè, parte)

SCENA IX.

Don Marzio ed Eugenio, poi Ridolfo.


Don Marzio. Venite qui, sedete, beviamo il caffè.

Eugenio. Caffè. (siedono)

Ridolfo. A che giuoco giuochiamo, signor Eugenio? Si prende spasso de’ fatti miei?

Eugenio. Caro amico, compatite, sono stordito.

Ridolfo. Eh, caro signor Eugenio, se V. S. volesse badare a me, la non si troverebbe in tal caso.

Eugenio. Non so che dire, avete ragione.

Ridolfo. Vado a farle un altro caffè, e poi la discorreremo. (si ritira in bottega)

Don Marzio. Avete saputo della ballerina, che pareva non volesse nessuno? Il Conte la mantiene.

Eugenio. Credo di sì, che possa mantenerla; vince1 i zecchini a centinaia.

Don Marzio. Io ho saputo tutto.

Eugenio. Come l’avete saputo, caro amico?

Don Marzio. Eh! io so tutto. Sono informato di tutto. So quando vi va, quando esce. So quel che spende, quel che mangia; so tutto.

  1. Bett.: guadagna.