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286 ATTO TERZO


quello, ma credendo dire la verità, non me ne astengo. Dico facilmente quello che so; ma lo faccio, perchè son di buon cuore.

Ridolfo. (Dalla bottega del barbiere) Anche questa è accomodata. Se dice davvero, è pentito. Se finge, sarà peggio per lui.

Don Marzio. Gran Ridolfo! Voi siete quello che unisce i matrimoni.

Ridolfo. E ella è quello che cerca di disunirli.

Don Marzio. Io ho fatto per far bene.

Ridolfo. Chi pensa male, non può mai sperar di far bene. Non s’ha mai da lusingarsi, che da una cosa cattiva ne possa derivare una buona. Separare il marito dalla moglie, è un’opera contro tutte le leggi, e non si possono sperare che disordini e pregiudizi.

Don Marzio. Sei un gran dottore! (con disprezzo)

Ridolfo. Ella intende più di me; ma mi perdoni, la mia lingua si regola meglio della sua.

Don Marzio. Tu parli da temerario.

Ridolfo. Mi compatisca, se vuole; e se non vuole, mi levi la sua protezione.

Don Marzio. Te la leverò, te la leverò. Non ci verrò più a questa tua bottega.

Ridolfo. (Oh il ciel lo volesse!) (da sè)

SCENA XVII.

Un Garzone della bottega del caffè, e detti.

Garzone. Signor padrone, il signor Eugenio vi chiama. (si ritira)

Ridolfo. Vengo subito; con sua licenza. (a Don Marzio)

Don Marzio. Riverisco il signor politico. Che cosa guadagnate in questi vostri maneggi?

Ridolfo. Guadagno il merito di far del bene; guadagno l’amicizia delle persone; guadagno qualche marca d’onore, che stimo sopra tutte le cose del mondo. (entra in bottega)

Don Marzio. Che pazzo! Che idee da ministro, da uomo di conto! Un caffettiere fa l’uomo di maneggio! E quanto s’affatica! E quanto tempo vi mette! Tutte cose ch’io le avrei accomodate in un quarto d’ora.