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morte, ch’ebbero già troppa fortuna presso i critici? Che il Voltaire, quando compose la Scozzese, leggesse Goldoni, sembra apparire dalla prefazione (su l’accusa del Lessing, v. P. Toldo, in Giorn. Stor. d. lett. it., vol. XXXl, 1898, pp. 351-2; Bouvy, Voltaire et l’Italie, Paris, 1898, pp. 227-8; e altri), ma che importa ciò, se gli scambi nella storia del teatro sono infiniti, e se poco giovò questa volta all’arte che crea? E che dire degli spunti goldoniani rimproverati al Lessing nella Minna di Barnhelm (1764) da P. Albrecht (v. Maddalena, Lessing e G. cit., in G. St. d. lett. it., vol. XLVII, 1906, pp. 204-5)? Imitazione più diretta, non certo più felice, fece in Italia l’Albergati nel Ciarlator maldicente, considerato come il capolavoro del senator bolognese. Segui l’Avelloni. «Or chi paragonasse il Maldicente del Goldoni col Barone di Gheldria dell’Avelloni (contraffatore del D. Marzio goldoniano) sentirebbe la differenza fra un costume vero e un costume eccessivamente caricato, che finisce con istomacare» (Ranalli, Degli ammaestram.i di lett.a, Firenze, 1858, t. IV, 533-4). Ancora a Parigi, nel 1814, salì sulle scene un Maldicente (le Mèdisant, comèdie en vers), di E. Gosse, tradotto liberamente da L. Marchionni e con applauso recitato a Torino nel carnovale del ’17 (Bib.ca Teatr. it.a e stran., Ven., 1820, t. V). — Ma qui fermiamoci, lasciando da parte un’altra famosa schiera di caratteri affini sul teatro, i curiosi indiscreti o impertinenti, per non allontanarci dalla commedia goldoniana. Alla quale invece più o meno direttamente si ricongiungono alcuni libretti per musica (C. Musatti, Drammi musici di G. e d’altri tratti dalle sue comm., Ven., 1898, p. 6); primo la Bottega di caffè, farsa giocosa di G. Foppa veneziano (teatro S. Moisè, 20 apr. 1801: musica di F. Gardi) e forse ultimo Don Marzio, comm. di G. Pagliara (teatro Rossini, Venezia, 2 maggio 1903: musica di G. Giannetti).

Torniamo a Goldoni. Di solito la fonte delle sue inspirazioni si ritrova nell’opera sua o nella vita, chè nessuno fu imitatore più libero di lui e originale. Tra gli intermezzi giovanili, scritti per il teatro di S. Samuele, attirò naturalmente l’attenzione degli studiosi quello che porta il titolo medesimo della presente commedia, e che fu assegnato con probabilità all’anno 1735: dove, se non proprio l’azione e i personaggi, la scena e qualche scorcio sembrano di lontano accennare all’opera dell’età matura (Maddalena, Masi ecc.). Così il vizio del giuoco, vizio caratteristico del Settecento, di cui serbano ricordo quasi tutte le commedie di Goldoni, si incontra già, seguito dai vani pentimenti, in un intermezzo più antico (il Gondoliere veneziano o gli Sdegni amorosi, 1733) a due soli personaggi, Buleghin e Bettina: oscuri parenti anche, questi di ben più gloriosi nepoti, Pasqualino e la Bettina della Buona moglie. E impossibile negare l’affinità con quest’ultima commedia di certe scene della Bottega del caffè, specialmente dell’ultima del primo atto, benchè l’arte al confronto ne perda. Vittoria, e così Placida e Lisaura, le tre donne ingannate, vivono appena nella penombra del palcoscenico e si spengono subito. Invece Eugenio ci ridà il carattere di Pasqualino più compiuto, sebben tuttavia languido: in lui v’è un residuo del sangue di Momolo cortesan, galante e generoso con le donne, prodigo del denaro, alle prese con un altro usuraio, con un altro furfante (Ludro, Trappola e Marcone nelle tre primissime commedie): è un po’ ancora il Pantalone della Bancarotta, rinnovellato nel giovane veneziano. Senza dubbio nella recita parlava il dialetto delle lagune e la sua parte era