Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/558

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544 ATTO PRIMO

Lelio. Quando mi viene la palla al balzo, non la perdono a nessuno.

Florindo. Voi criticate tutti.

Lelio. Facciano gli altri con me l’istesso, e saremo del pari.

Ottavio. Figliuola, ecco anche a voi la vostra patente, (a Rosaura)

Rosaura. Ed io che bel nome averò?

Ottavio. Leggetelo e lo saprete.

Rosaura. Lo leggerò. Fidalma Ombrosia.

Florindo. Bellissimo nome. Fidalma vuol dire alma fedele.

Ottavio. Signori miei, oggi dopo pranzo daremo principio alle nostre radunanze, e da questo giorno avrà origine l’epoca della nostra accademia.

Florindo. Signor Ottavio, vi levo l’incomodo. Un affare di premura mi chiama altrove.

Ottavio. Addio, mio caro Breviano Bilio.

Florindo. Alcanto Carinio, vi riverisco. Fidalma, addio.

Rosaura. Addio, il mio caro Patetico.

Florindo. (Quest’accademia vuol essere a proposito per l’amor mio. In grazia della poesia potrò trattare liberamente colla signora Rosaura, e stabilire con essa un matrimonio in versi). (da sè, parte)

Lelio. Amico, a rivederci.

Ottavio. A rivederci, amatissimo Ovano Pazzio.

Lelio. Oggi ammireremo il vostro ottimo gusto. (E goderemo alle) spalle di un generoso poeta). (da sè, parte)

Eleonora. Anch’io vi riverisco, signor Ottavio.

Ottavio. Tra noi non ci abbiamo a chiamare coi soliti nostri nomi, ma con quelli dell’accademia.

Eleonora. Benissimo. Addio, Alcanto Carinio.

Ottavio. Vi saluto, Cintia Sirena.

Eleonora. Fidalma, addio.

Rosaura. Addio, la mia cara Cintia.

Eleonora. (Bellissime caricature! Ecco la ragione, per cui si suol dire che i poeti son pazzi). (da sè, parte)