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IL GIUOCATORE 269

SCENA IV.

Pantalone e detto, poi Lelio e Tiburzio.

Pantalone. Missier Brighella, dove xe sior Florindo?

Brighella. Mi non lo so in verità.

Pantalone. Saralo forse a zogar?

Brighella. No ghe so dir: in casin no credo che el ghe sia.

Pantalone. Vardè se lo trovè, diseghe che ghe vôi parlar.

Brighella. La servo subito. (E intanto siora Rosaura sta in preson). (da sè, parte)

Pantalone. Poco de bon! Tocco de desgrazià! El me promette de no zogar, e po el zoga a rotta de collo? Zogo e donne! Donne e zogo? Ghe darò quindese mille ducati, acciò che el li zoga in t’una notte? No, no, voggio licenziarlo de fatto, e mia fia nol la gh’averà più.

Tiburzio. (Dove diavolo il signor Florindo ha ritrovata questa gioja?) (piano a Lelio)

Lelio. (Chi sa! L’avrà avuta da qualche innamorata), (a Tiburzio)

Tiburzio. (Ma chi sa se varrà cento zecchini?)

Lelio. (Per quello che ci costa, la possiamo prendere).

Tiburzio. (La farei veder volentieri).

Lelio. Aspettate; la sorte ci favorisce. Quello è un mercante che negozia di gioje; facciamola vedere a lui.

Tiburzio. È galantuomo?

Lelio. Sì, è onorato. Signor Pantalone.

Pantalone. Patron mio reverito.

Lelio. Vorrei supplicarla d’una grazia.

Pantalone. La comandi. Mi non ho l’onor de cognosserla.

Lelio. Conosco io vossignoria, e so essere un mercante onorato e di credito.

Pantalone. Tutta so bontà.

Lelio. Ella s’intende perfettamente di gioje.

Pantalone. Le zoggie xe uno dei mi mazori capitali.

Lelio. Questo cavaliere ha una pioggia da vendere, e vorrebbe che vossignoria facesse grazia di stimarla.