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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/499

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LA FINTA AMMALATA 481


caro dottor Onesti diceva che il polso era giusto, che non era alterato. Che bravo medico! Non sa niente.

Beatrice. Eppure poco fa parlava, e non era in questo stato. Che dice il signor eccellentissimo?

Buonatesta. Oh gran caso! Gli accidenti vengono da un momento all’altro; sentiamo il polso. Oh che polso! Dov’è il polso? Non si trova, non si sente. Balza, s’incanta. Presto a me. Carta, penna e calamaio.

Colombina. (Che le sia venuto male davvero?) (a Beatrice)

Beatrice. (Ho paura di sì. Il dottore al polso lo deve conoscere). (a Colombina)

Buonatesta. Presto. Carta, calamaio; a me.

Lelio. Signor dottore, le gocce d’Inghilterra sarebbero buone?

Buonatesta. Oh pensate! tutte ciadatanerie. Tutto quello che non viene ordinato dal medico, è veleno.

Corallina. Ecco la carta e il calamaio.

Buonatesta. Presto, presto. Recipe margaritarum præeparatarum dracmas duas. Coraliorum et perlarum ana dracmas tres. Succinorum præaparatorum dracmam unam. Saccari albi uncias tres. Solve in aqua melissa quantum sufficit, et fiat potio cordialis.

Rosaura. (Scrivi, scrivi; già non prendo niente). (da sè)

SCENA XIII.

Il dottor Merlino Malfatti e detti.

Merlino. Che cosa vi è di nuovo? È venuto il signor Pantalone alla spezieria a ritrovarmi, e son venuto immediate. Che è accaduto?

Buonatesta. Dottor Malfatti, non ve l’ho detto io che la povera signora Rosaura doveva precipitare? Ah, non ve l’ho detto?

Merlino. Ed io che cosa ho detto? Si ricorda, signor Lelio, quando gli ho detto che il male di questa signora era quasi incurabile?