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L'INCOGNITA 117

Florindo. Chi vuol seguirla, ha da passare per questa spada.

Lelio. Inciampo lieve per arrestarmi. (battendosi entrano)

SCENA III.

Camera in casa di Ottavio.

Ottavio in veste da camera.

Che delizioso soggiorno è la campagna! Che bel levarsi la mattina per tempo a godere i fiori novelli, che spuntano con il sole! Che soave piacere udir il canto degli augelletti, che si rallegrano nell’uscire dai loro nidi! Quanto volentieri spendo la metà dei miei giorni in questa solitudine amena! Non darei un giorno di villa per un mese d’abitazione in città.

SCENA IV.

Rosaura ed il suddetto.

Rosaura. Ah signore, soccorretemi per pietà!

Ottavio. Chi siete voi?

Rosaura. Sono una povera sventurata; il mio nome è Rosaura.

Ottavio. Parmi di avervi un’altra volta veduta.

Rosaura. Io due volte ho veduto voi.

Ottavio. Siete dunque di questa terra?

Rosaura. Sono sei mesi che vi abito.

Ottavio. Ed io non son che otto giorni, che ho qui ripigliato il soggiorno.

Rosaura. Deh signore, per carità, difendetemi. Un traditore m’insidia.

Ottavio. Non temete. In casa mia non vi sarà chi ardisca insultarvi. Ma chi è il vostro persecutore?

Rosaura. Lelio, figlio di quell’onorato mercante...

Ottavio. Sì, lo conosco, il figlio di Pantalone: figlio indegno, che degenera affatto dall’onorato carattere di suo padre; ma da voi che pretende?