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216 ATTO PRIMO

Livia. E chi è questo avvocato?

Marchese. Eccolo qui: il signor Guglielmo. Io l’ho conosciuto in Toscana, ed egli forse non si ricorda di me.

Guglielmo. Mi ricordo benissimo di aver avuto l’onor di vederla. So ch’ella aveva una causa di conseguenza, e so anche che l’ha perduta.

Aurora. (Anche l’avvocato?) (da sè)

Livia. Avete fatto l’avvocato in Toscana?

Guglielmo. È verissimo. Ho fatto anche l’avvocato. Stanco della soggezione che deve un segretario soffrire, ho cambiato paese ed ho cambiato ancora la professione. Ho esercitato la professione legale, e posso dir con fortuna; in poco tempo avea acquistato credito, aderenze e quattrini; e se io tirava innanzi per quella strada, oggi forse sarei in uno stato da non invidiare nessuno.

Livia. Ma perchè abbandonare?...

Aurora. Perchè ha voluto venir a stare in Palermo1. Caro avvocato, volete far la vostra professione da noi?

Livia. Io ho delle liti e ho delle parentele parecchie; non dubitate, non vi lascierò mancar cause.2

Conte. (Donna Livia si scalda molto per quel forestiere; sta a vedere che è di lui innamorata). (da sè)

Marchese. (Non vorrei che il signor avvocato facesse giù donna Livia. La sua dote non ha da essere sagrificata). (da sè)

SCENA XIV.

Targa, altro cameriere di donna Livia, e detti.

Targa. Signora, il signor conte Portici. (a donna Livia)

Livia. Venga pure. Mettete una seggiola. (a Targa)

Guglielmo. (Or ora viene tutta Palermo). (da sè)

Targa. Servitor umilissimo. (a Guglielmo, mettendo la seggiola)

  1. L’ed. Zatta attribuisce a Guglielmo queste parole: Perchè ho voluto ecc.
  2. Segue nell’ed. Paper.: «Aur. Chi ha roba, ha litigi. Mio marito n’è pieno. Vi darà un tanto l’anno. Liv. (Povera pezzente!) da sè».