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L'AVVENTURIERE ONORATO | 235 |
Guglielmo. Quattro mesi senza nemmeno scrivermi? Siete un’ingrata.
Eleonora. Quattro mesi ho consumato appunto nel viaggio. Mi partii all’arrivo della vostra lettera; ed ecco registrato in queste fedi il giorno della mia partenza.
Guglielmo. (Questo è un colpo grande; ma ci vuole franchezza e disinvoltura). (da sè) Cara Eleonora, siete arrivata in tempo che il cielo ha provveduto per me, e spero avrà provveduto anche per voi. Questa buona signora, piena di carità, degnossi appoggiare a me gli affari domestici della sua casa; mi ha ella beneficato con un assegnamento di trenta ducati al mese; onde con questo, sposati che noi saremo, potremo vivere comodamente.
Livia. Male avete fondate le vostre speranze. Io non tengo in mia casa persone in matrimonio congiunte, e molto meno sposi, amanti, incogniti, fuggitivi. Provvedetevi altrove; voi non fate per me.
Guglielmo. Come! Ella mi licenzia?
Livia. Sì, vi licenzio.
Eleonora. Signora, se per causa mia lo private di tanto bene, pronta sono a partire.
Livia. Non più. Andatevene immediatamente di casa mia. (a Guglielmo)
Guglielmo. Non so che dire. Vi vuol pazienza. Ma non ho mai creduto però, che ad una persona di garbo, saggia e civile, com’ella è, potesse spiacere un uomo che sa mantenere la fede; un uomo che, per non vedere sagrificato l’onore di una fanciulla, si contenta piuttosto di perdere la sua fortuna, e di passare miseramente i giorni della sua vita. Signora, me n’anderò; penerò fra gli stenti, ma non mi pentirò mai di un’azione onorata: e mi saranno sempre care le mie miserie, rammentando avermele io medesimo procurate, per non mancare alla mia parola, per non abbandonare una giovane, che ha posto a rischio per me la propria vita e la propria riputazione. (parte)