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258 | ATTO TERZO |
SCENA X.
Donna Livia ed Eleonora.
Eleonora. (Come mai lo riceverò?) (da sè)
Livia. Su via, seguite ad essere valorosa. Ricevetelo da voi sola. Mi ritirerò, per lasciarvi in libertà di parlare come il cuore vi suggerisce. Non voglio che la mia presenza vi abbia a dar soggezione. Non voglio che dir possiate, che siete stata da me violentata. Eccolo, parlategli come vi aggrada, e nuovamente pensate, che dalle vostre parole può dipendere la sua fortuna. (parte)
SCENA XI.
Eleonora, poi Guglielmo.
Eleonora. Oimè! Quand’io non lo vedeva, non pareami tanto difficile l’abbandonarlo. Ora colla sua vista mi si accresce il tormento.
Guglielmo. Che vuol dire? Tanto vi fate desiderare?
Eleonora. Eh, signor Guglielmo, non credo poi che mi abbiate tanto desiderata.
Guglielmo. Sono tre ore che io vi aspetto.
Eleonora. Ed io sono tre ore che piango.
Guglielmo. Che! piangete? Per qual motivo?
Eleonora. Piango per causa vostra.
Guglielmo. Per me? Che v’ho io fatto di male?
Eleonora. Non piango per il male che fate a me, piango per quello che io sono in grado di fare a voi.
Guglielmo. Oh! perchè volete piangere per questo? Invece di farmi del male, e piangere; fatemi del bene, e ridiamo.
Eleonora. Sì, sì, voi riderete, ed io penerò.
Guglielmo. Ma che cosa è stato? Vi è qualche novità?
Eleonora. Parvi piccola novità il dovervi lasciare?
Guglielmo. Lasciarmi? Perchè?
Eleonora. Per non levarvi una gran fortuna.