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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/281

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L'AVVENTURIERE ONORATO 269

Conte Portici. Signore, disse pure l’E. V. che non conveniva che un forestiere trasportasse dalla nostra città in un’altra una ricca dote.

Vicerè. Sì, è vero, lo dissi e lo ridico. Ciò non conviene; e per questa ragione il signor don Guglielmo resterà in Palermo, aggregandolo alla cittadinanza, e pensionandolo per il merito di un suo progetto.

Filiberto. Veramente l’ho sempre detto, che il signor don Guglielmo era un uomo garbato.

Conte Portici. Sì, garbatissimo in tutto e spezialmente nell’incantar le donne. Ecco qui vostra moglie, tirata anch’essa dalla di lui garbatezza.

SCENA ULTIMA.

Donna Aurora e detti.

Aurora. Signore, come parlate voi? (al conte Portici) Non son qui venuta per il signor Guglielmo, ma per impetrare da S. E. la scarcerazione di Berto mio servitore.

Filiberto. Conte, voi mi offendete. (al conte Portici)

Vicerè. Orsù, vi ho sofferto abbastanza. Andate, moderate la lingua, se non volete morire entro il maschio di una fortezza. (al conte Portici)

Conte Portici. Signore... compatite la mia passione. Mi lusingava poter conquistare la dote di donna Livia, e vedendola da un forestiere occupata, non mi potei contenere. Vi chiedo scusa, mi rimetto al voler del cielo, e vi assicuro che non ne parlo mai più.

Marchese. Il signor Guglielmo la merita, e solo a lui avrei cedute le mie pretensioni.

Conte di Brano. Anch’io aspirava alle nozze di donna Livia, ma perchè conosco essere il signor Guglielmo degno di averla, m’acquieto e non parlo più.

Aurora. Dunque il signor Guglielmo sposerà donna Livia?