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Goldoni non esercitò mai la medecina, nè fu avvocato di frodo; fu console di Genova, ma non partì da Venezia nel ’43 inseguito dai creditori; non indusse la fanciulla di Feltre a fuggire dalla casa paterna, nè abbandonò sulle lagune una Eleonora; dal Bontadini nel ’33 e da qualche mecenate più tardi accettò ospitalità, doni, soccorsi, ma che chiedesse nel ’53 un prestito di denaro alla nobil donna Sagredo Pisani (v. lettera ed. dall’Urbani) sono restio a credere. Guglielmo dunque invece di scaturire, creazione d’arte perenne, dalla vita vissuta dell’autore, accetta con soverchia facilità sentimenti e avventure dai romanzi del tempo, finchè dopo aver sedotto tanti cuori di donna, seduce anche il Viceré, e sale in poco d’ora al fastigio degli onori e delle ricchezze: vero Gil Blas da strapazzo del teatro riformato.

Pure non mancano accenti sinceri che vengono dal cuore di Goldoni, e questi ci commuovono ancora, come per esempio l’accenno all’interrotta Carriera dell’avvocato (I, sc. 13), il rimpianto dell’ufficio di Coadiutore sostenuto nell’età più bella a Chioggia e a Feltre (I, 14), e i lamenti sul miserabile mestiere di scrittore teatrale (I, 15), che suonano più dolorosi nello spontaneo accento veneziano: «El componer per i Teatri le ghe dise bella profession, mistier dilettevole? Se le savesse tutto, no le dirave cussì. De quanti esercizi ho fatto, questo xe sta el più laborioso, el più difficile, el più tormentoso. Oh, la xe una grem cossa dover sfadigar, suar, destruzerse a un taolin per far una composizion, e po vederla andar in terra, e sentirla criticar e tanaggiar, e in premio dei suori e della fadiga aver dei rimproveri e dei despiaseri». Anche il principio del racconto che fa di sè Guglielmo al Viceré é tutto vero (I, 5).

La presente commedia, avverte l’edizione Bettinelli, «fu posta in iscena il dì 13 di Febbraio 1751 e replicata per otto sere in Venezia. Ha piaciuto in ogni luogo dove si é recitata»; e anche Rosaura nel Complimento d’addio a S. Angelo ricordava: «Sta Commedia ha piasso assae». In fatti sappiamo dalla prefazione dell’autore, nell’edizione Paperini, che fu scritta per il pantalone Collalto, il quale rendeva a meraviglia la parte del bel Veneziano. (Si veda inoltre la sc. 4, A. I, del Teatro comico, nell’ediz. del Bettinelli). E in dialetto veneziano, com’era per buona metà nella rappresentazione, ci vien fortunatamente conservata nell’edizione del Bettinelli, e ora si legge nella nostra Appendice: rifatta poi dall’autore in lingua italiana nel ’54, per l’edizione Paperini di Firenze, diventò più scialba. Dei personaggi minori nessuno è vivo in tutta la commedia, che può chiamarsi a un solo personaggio; e non una scena è veramente bella: ma qua e là si trovano certi tocchi propriamente goldoniani, e si ammira sempre l’arte (qui un po’ l’artificio) di guidar le scene, in modo che l’attenzione non si stanca, e l’inverosimile par naturale. Lo stesso Guglielmo ride insieme col pubblico, quando capita donna Livia in casa del Viceré, sulla fine del terzo atto: «El xe un de quei arrivi a uso de commedia, dove se fa vegnir le persone co le bisogna.»

Si capisce come non potesse reggersi l’Avventuriere sul teatro dopo la partenza del Collalto, e ancora più dopo quella del Goldoni, per la Francia. (A Modena, per es,, fu recitato nel 1754 e nel 1762: Mod. a C. G., 1907, pp. 235 e 237). Giustamente scomparve, quando ben altri avventurieri, onorati e infamati, riempivano la seconda metà di quel secolo delle loro geste ben altrimenti comiche e romanzesche. Tuttavia il titolo trovò fortuna,