Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/36

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26 ATTO PRIMO

Dottore. Son qui: non parto, se non tornate.

Pancrazio. Vengo subito. (Voglio prima parlare coll’Olandese, e poi qualche cosa risolverò). (da sè) Il denaro lo ha seco?

Dottore. Sì, l’ho qui in tanto oro. Lo porto sempre meco, per paura che non me lo rubino.

Pancrazio. Stimo assai che porti indosso quel peso.

Dottore. Lo porto volentieri. L’oro è un peso che non incomoda niente affatto.

Pancrazio. (Povero Dottore! mi fa compassione. Se fossi un uomo senza coscienza, gli farei perdere in un momento quello che per tanti anni ha procurato avanzare1. (da sè; parte)

SCENA VI.

I Dottor Malazucca.

Glieli darò al sei e mezzo, per non tenerli più in tasca2. Ma quando troverò di darli al sette, li leverò al signor Pancrazio, e li darò a chi ne avrà più bisogno. Intanto ch’egli torna, voglio contarli. Iersera mi parve che ci fossero due zecchini di più. Non vorrei perderli, se fosse la verità. (tira fuori la borsa, versa il denaro sul tavolino, e si pone a contare) Oh che bell’oro! oh che bei zecchini! E pure li ho fatti tutti a tre o quattro lire alla volta. Tanti medici, che ne sanno meno di me, hanno per paga zecchini e doppie; ed io, povero sfortunato, non ho mai potuto avere più di un ducato, e ho dovuto contentarmi sino di trenta soldi. Eppure ho fatto duemila ducati a forza di mangiar poco, bevere acqua, e tirar qualche incerto3 dagli speziali.

SCENA VII.

Giacinto, Lelio e detto.

Giacinto. Venite qui, amico, che vedremo se v’è il cassiere.

Dottore. (Copre col mantello i denari sul tavolino.)

  1. Pap. aggiunge: sono un mercante onorato.
  2. Pap. aggiunge: perchè mi pesano; e in casa non mi fido.
  3. Pap.: mancia.